
Ogni civiltà è mortale
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21,5-11)
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Il commento
“Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta” (21,6). I giudei erano orgogliosi del Tempio che sorgeva in Gerusalemme e dava a quella città una veste di sacralità che nessun altro luogo poteva vantare. La gente si fermava volentieri ad ammirare la bellezza artistica di quella magnifica costruzione. Ma prima di tutto, quel luogo santo era il simbolo stesso della religiosità. Per questo le parole di Gesù suscitano non solo un legittimo stupore ma anche una ragionevole inquietudine. L’annuncio della distruzione del Tempio lascia presagire la fine delle promesse messianiche. Un orizzonte quanto mai cupo. Nella sua risposta Gesù non cerca di mitigare la sentenza ma rincara la dose, annuncia infatti “guerre e rivoluzioni” (21,9), “terremoti, carestie e pestilenze”, parla anche di “fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo” (21,11). Descrive un futuro incerto e minaccioso. Se qualcuno oggi, dinanzi ad una storia, in cui il male è sempre presente, ripetesse quelle parole sarebbe facilmente accusato di essere un “profeta di sventure”. Il Signore non vuole impaurire, desidera piuttosto invitare i discepoli a coltivare uno sguardo carico di realismo. La storia umana è attraversata da conflitti ed eventi dolorosi. La pandemia è l’ennesima conferma di quell’aspra lotta che in ogni tempo l’umanità deve affrontare. Il male si ripresenta come le onde del mare. Tutto questo non suggerisce una visione pessimistica della storia ma chiede di non dare spazio allo sguardo superficiale di chi pensa che tutto andrà bene e che l’umanità riuscirà a superare anche questa crisi. I fatti dolorosi dovrebbero ricordare che ogni civiltà è mortale, cioè destinata a morire. Il cristiano guarda e giudica la vita con un “ottimismo tragico” (Henri Marrou), cioè con la consapevolezza che Dio realizza la sua storia santa malgrado il peccato che inquina anche le buone intenzioni. La fragilità umana è sempre in agguato. Se vogliamo custodire la speranza, dobbiamo stringerci a Dio, unico nostro Bene e fonte di ogni bene.
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