
Una storia abitata da Dio
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 13,33-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Il commento
“Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento” (13,33). Il tempo liturgico di Avvento inizia con l’invito a tenere gli occhi bene aperti per evitare di prendere sonno. Questo vegliare non nasce dalla necessità di individuare tempestivamente pericoli e minacce ma dal desiderio di essere interiormente pronti ad accogliere il Signore che viene. Non attendiamo qualcosa ma Qualcuno. Vegliamo per non perdere l’appuntamento con un Dio che viene in tempi e modi imprevedibili. Con il salmista possiamo pregare così: “L’anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all’aurora” (Sal 130,6). L’oscurità delle notte non ha soffocato la speranza della luce. È un vegliare colmo di fiducia perché siamo certi che il nostro Dio verrà: non verrà solo nel giorno ultimo della storia, quando tutto sarà rivestito di luce, ma viene anche in questo presente avvolto nelle tenebre del peccato e prigioniero di tante contraddizioni.
“In avvento io ricomincio sempre a sperare”, scriveva padre Turoldo. Se viene a mancare la speranza, nulla più si attende, siamo condannati alla banalità dei giorni. L’esistenza appare come una somma di eventi insipidi. In un tale contesto null’altro resta da fare se non il carpe diem, disperato e illusorio. La fede, al contrario, veste di luce ogni evento e fa di ogni uomo un segno visibile e prezioso di quel Dio che è venuto ad abitare la nostra terra. In questo tempo siamo chiamati a coltivare la virtù dell’ospitalità. Come Maria ha fatto del suo grembo la dimora di Dio, così vogliamo disporci interiormente ad accogliere il Signore. Se Lui viene allarga gli orizzonti del cuore e ci rende capaci di accogliere l’altro, costruire rapporti di fiducia e di amicizia, di collaborazione e di servizio. Un ideale semplice eppure così lontano dal vivere comune. Contempliamo fin dall’inizio la Vergine Maria, icona luminosa dell’attesa. Sgranando ogni giorno la corona del Rosario, impariamo a camminare con Lei verso Betlemme per rinnovare l’eccomi della fede.
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