
La terapia più efficace
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 15,29-37)
In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele. Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
Il commento
“Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati” (15,30). In mezzo a quella folla ci sono due diverse categorie: i malati e coloro che li portano. In genere facciamo attenzione solo ai primi, oggettivamente più deboli e bisognosi. Oggi vorrei parlare di quelli che si prendono cura degli infermi e si preoccupano di portarli da Gesù: “li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì” (15,30). Gesù accoglie e guarisce tutti. Lui solo può farlo! Questa parola è una provocazione. In che modo la Chiesa può continuare il ministero terapeutico di Gesù? La guarigione fisica dipende dai medici e… da Dio. Ma noi possiamo svolgere un efficace ministero terapeutico che passa attraverso tre diversi sentieri. In primo luogo dobbiamo mettere in atto la terapia della speranza: tante persone si sentono schiacciate dal male fino al punto da vivere senza più poter guardare in alto. Hanno bisogno di quel farmaco che si chiama speranza. Possiamo e dobbiamo anche attivare la terapia della condivisione: si tratta di portare con gli altri il peso del dolore e vincere così la tentazione più subdola, quella della solitudine. La malattia è in se stessa un male ma diventa ancora più pesante quando la persona si trova da sola. E infine c’è la terapia della consolazione: farsi accanto e manifestare la compassione, anche quando non abbiamo parole da dire né possiamo fare nulla per dare sollievo. Studi di settore hanno dimostrato che la consolazione allontana la tristezza e si rivela un efficace farmaco anti-depressivo.
Questo ministero oggi appare più che mai necessario per arginare il male che affligge l’umanità. Non mi riferisco solo alla pandemia, che occupa la prima pagina delle notizie e rischia di far dimenticare le altre emergenze sociali che privano le persone dei beni essenziali e impediscono di vivere dignitosamente. E poi ci sono, ovunque nel mondo, conflitti bellici che lasciano sul campo migliaia di vittime innocenti. Una Chiesa che si china sulle ferite dell’umanità forse non fa notizia ma semina speranza e annuncia certezza che la vita umana ha un valore infinito agli occhi di Dio.
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