Musica

Quando la musica serve per rinascere…

Violino

di Gianni Mussini

Cosa è mancato al concerto di sant’Ambrogio trasmesso in TV e via web? La tensione magnanima che dà l’idea di un momento laicamente sacro. Per fortuna c’era la Madonnina!

Gran finale del concerto di sant’Ambrogio, trasmesso in TV e via web non essendo possibile la presenza in teatro a causa del contagio. Nel video, disponibile su Raiplay, si vede la Scala, si ascolta la musica del Guglielmo Tell di Rossini (ma nel programma Verdi e altri magnanimi, non solo italiani). E nello sfondo il gran Milàn che non si arrende mai e risponde a invidie e attacchi spesso gratuiti mostrando i suoi svettanti edifici, antichi e nuovi. 

Ma sopra tutto e sopra tutti si erge la Madonnina d’oro, ad abbracciare la città e il mondo intero con il suo amore cristiano. La ricordate la canzone del maestro D’Anzi? O mia bela Madunina che te brillet de lontan / Tuta d’ora e piscinina, ti te dominet Milan / Sota a ti se viv la vita, se sta mai coi man in man / Canten tucc “lontan de Napoli se moeur” / Ma po’ i vegnen chi a Milan («O mia bella Madonnina che brilli da lontano / tutta d’oro e piccolina tu domini Milano. / Sotto di te si vive la vita, non si sta mai con le mani in mano / Cantano tutti ‘lontan da Napoli si muore’ / ma poi vengono qui a Milano»). Orgoglio cittadino? Direi piuttosto la fotografia di una situazione: a Milano i partenopei si sono sempre sentiti bene, trovando il clima giusto per esprimere al meglio i propri talenti (Torino va più d’accordo con i Siciliani, e anche queste differenze rendono meravigliosa la nostra Italia nella sua dissonante armonia). Ma questa fotografia dice soprattutto che la metropoli lombarda accoglie, con il cuore proverbialmente in mano, chiunque abbia voglia di mettersi in gioco. Uno dei miei ‘milanesi’ preferiti è stato l’avvocato Peppino Prisco, originario di Torre Annunziata, vicepresidente dell’Inter e formidabile battutista (anche nel senso che è stato “battuto” più volte dal mio Milan…)

In sostanza, l’amore alla piccola patria è uno spicchio del grande amore che si deve a ogni paese e a tutti gli uomini: questo il senso della Madonnina che durante il concerto di sant’Ambrogio luccicava nella notte invernale di Milano e che pareva, in quel contesto, una memorabile risposta alle difficoltà dell’oggi, pegno di speranza in un domani non solo guarito dalla malattia ma anche umanamente più degno. 

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Mi è venuta in mente un’altra occasione per certi versi simile. Era l’11 maggio 1946, alla Scala di Milano, ricostruita a tempo di record (un anno!) dopo le distruzioni belliche. Il popolo milanese aveva preso d’assalto il botteghino e gli esclusi si erano assiepati al di fuori del teatro, per ascoltare comunque la musica, grazie agli altoparlanti installati per l’occasione. Il momento era solenne, perché il Maestro Arturo Toscanini stava per dirigere il Concerto della Liberazione dopo i disastri della dittatura fascista, della guerra, dell’occupazione tedesca del nostro territorio. Toscanini stesso era rientrato in Italia dopo lunghi anni di esilio in America. 

Pare che, appena entrato nella gran sala del teatro, il Maestro battesse più volte le mani per sperimentarne l’acustica: «Come prima, meglio di prima», fu il suo commento.

In quel concerto – oltre all’intoccabile Va pensiero di Verdi (risuonato già ai tempi della dominazione austriaca) – tanti altri brani famosi tra cui un coro di Georg Friedrich Händel: tedesco ma non “nemico” perché la patria della bellezza e dell’intelligenza è il mondo, non l’angustia di una meschina ideologia. Ma il cuore era costituito dall’Inno delle nazioni, composto da Giuseppe Verdi con testo del fido Arrigo Boito appena dopo l’Unità d’Italia per ringraziarne Dio e i due Paesi che l’avevano favorita: l’Inghilterra «di libertà vessillo antico» e la Francia, che aveva sparso il «generoso sangue» dei suoi figli per aiutare l’Italia «terra incatenata». Al termine l’Inno di Mameli (musicato da Novaro), che allora non era ancora inno nazionale, seguito da God Save the Queen e dalla Marsigliese, in onore appunto di quei popoli amici. Questa versione sarebbe stata eseguita in altre occasioni, per esempio ai tempi della prima Guerra Mondiale, quando l’Italia era alleata di Francia e Inghilterra.

Nella versione del 1946 Toscanini volle però inserire anche gli inni degli Stati Uniti e dell’Unione sovietica, gli altri Paesi che avevano combattuto il nazifascismo (sì, lo so: nell’URSS c’era Stalin, e in diversi stati americani c’erano ancora penose discriminazioni razziali; ma una cosa alla volta…) 

Possiamo immaginare la commozione di quel grande momento, favorito anche da personaggi provvidenziali come Antonio Ghiringhelli, l’uomo che trovò i soldi per ricostruire la Scala e che ne diventerà lo storico sovrintendente; e come un altro Antonio, il Greppi sindaco socialista e cattolico della Milano di quegli anni, che tanto si adoperò per la rinascita della ‘capitale morale’ (anche questo binomio tra socialismo e cattolicesimo fa parte di una buona tradizione lombarda; se può interessare, mia madre, che andava a messa tutti i giorni, fu chiamata Bruna in onore di quel Giordano Bruno bruciato per eresia a Roma, in Campo dei Fiori, il 17 febbraio 1600; mio nonno era appunto socialista). 

Un grande momento, ho detto. Ecco, nello spettacolo dell’altra sera invece – e torniamo all’attualità – a parte il memorabile finale è mancata forse una tensione magnanima che desse l’idea di quel momento che non esiterei a definire sacro, anche laicamente sacro. Per esempio Milly Carlucci è un’ottima presentatrice per Ballando con le stelle e Bruno Vespa è l’uomo di Porta a porta. Programmi che esprimono benissimo, e con alta professionalità, una dimensione di ordinarietà borghese. Alla Scala ci voleva un aplomb diverso, rispettoso di quella sacralità.

Ma per fortuna a quello ha pensato la Madoninna tutta d’oro e piscinina. Ci ha guardato dall’alto, ci ha preso per mano e ci ha accompagnato verso il suo e nostro Natale.




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