CORRISPONDENZA FAMILIARE

Madri orfane di figli. Lo sguardo si perde nell’abisso del dolore

14 Dicembre 2020

tristezza

Quando muore un genitore, i figli diventano orfani. Quando muore il coniuge, inizia il tempo della vedovanza. Quando muore un figlio… non abbiamo parole, anche il vocabolario resta muto, come di chi guarda attonito un evento irragionevole.

Tante volte mi sono trovato a raccogliere le parole e le lacrime di mamme che avevano perso un figlio, donne invecchiate precocemente sotto il peso di un dolore che non ha nome. E tante volte ho celebrato Messa con loro e per loro, per chiedere la luce e la forza di custodire la fede e la speranza. Per queste donne la festa della Natività non ha lo stesso sapore, non possono contemplare il Dio che nasce senza pensare al loro grembo ormai vuoto. A loro, a tutte e a ciascuna di loro, consegno questa lettera, è scritta al singolare perché vorrei parlare al cuore di ciascuna. 

Cara Giulia,

piangi pure, ne hai tutto il diritto, non puoi evitare la sofferenza, è il prezzo dell’amore. Vi sono momenti in cui ti senti abbandonata da Dio, pensavi di avere fede e invece… ti trovi sempre più spesso a chiederti: “Dov’è Dio? Dov’era in quel momento, quando la morte è venuta di soppiatto a rapire mio figlio?”. Dio non risponde.  Il suo silenzio accresce la solitudine. E allora, come gli apostoli sul lago durante l’improvvisa tempesta, capita anche a te di rivolgere una domanda che contiene un’implicita accusa: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” (Mc 4,38). Gli apostoli pensavano di conoscere Gesù e invece sono sconcertati dal suo comportamento, non riescono a comprender come possa dormire beatamente, incurante della tragedia che sta per abbattersi. 

Comprendo il desiderio di trovare risposte alle tue domande. E capisco che il silenzio di Dio rende più ancora angoscioso il dramma che vivi, fino a togliere il respiro. E tuttavia, ti ricordo una parola di Benedetto XVI. Con quella saggezza che appartiene alla grande tradizione spirituale, a proposito del silenzio di Dio dinanzi al grido dell’uomo, il Papa dice che “non ci è dato di conoscere il motivo per cui Dio trattiene il suo braccio invece di intervenire” (Deus Caritas est, 38). Il racconto della Passione culmina nel grido del Crocifisso: anche Lui ha sperimentato il silenzio di Dio proprio nel momento in cui più acuto è il suo dolore. Anche i redenti, che già vivono nella luce, presentano a Dio lo stesso drammatico interrogativo: “Fino a quando esiterai ancora, Signore, tu che sei santo e verace?” (Ap 6, 10). Non sappiamo perché Dio non interviene. E non possiamo nemmeno pretendere di comprendere Dio perché … non siamo Dio. Non possiamo misurare l’agire di Dio con le nostre ragioni, anche se appaiono fin troppo evidenti ai nostri occhi. 

Vedi, mia cara amica, l’unica cosa che possiamo dire o fare, in mezzo alle tragedie che si abbattono nella nostra vita, soprattutto quelle impreviste, è volgere lo sguardo a Dio e chiedergli di darci la luce e la forza di cui abbiamo bisogno per affrontare quelle battaglie. Se venisse a mancare anche questa speranza saremmo ancora più soli. Disperatamente soli.

Quando muore un genitore, i figli diventano orfani. Quando muore il coniuge, inizia il tempo della vedovanza. Quando muore un figlio… non abbiamo parole, anche il vocabolario resta muto, come di chi guarda attonito un evento irragionevole. Siamo costretti a usare frasi più complesse, diciamo ad esempio: genitori che hanno perso un figlio. In realtà accade il contrario: sono i genitori che si sono persi, sono loro ad avere smarrito la strada, quella tragedia ha fatto perdere loro le coordinate della vita. Quel figlio non si è perso, è stato restituito a Colui che lo ha creato.  Sono i genitori che non sanno più chi sono e dove sono. 

Il dolore è un abisso, mia cara amica attenta a non cadervi perché non è facile uscirne. Non abbattere la porta della speranza. Tuo figlio è al sicuro. Non puoi evitare di soffrire ma non puoi vestire sempre e solo i panni di lutto. La tua maternità non si è fermata quel giorno in cui tuo figlio è stato sottratto al tuo sguardo. Da quel giorno assume un volto nuovo. Invece di chiuderti nel dolore, allarga la tenda e apri il cuore per una maternità che semina vita nel cuore di altri giovani. Non dimenticare che hai altri figli che hanno bisogno di sentire la tua presenza materna. Non essere madre a metà. Una mamma, anche se ha dieci figli, non si dona a pezzi, non dà a ciascuno una percentuale ma dona sempre tutta se stessa. Anche tu fa’ così. 

La fede non toglie la sofferenza ma veste tutto di luce. La storia con tuo figlio continua: è un coro a due voci, uno risuona sulla terra e l’altro nel Cielo. Se, come amiamo sperare, tuo figlio è in Paradiso, puoi contare su di lui, puoi chiedergli di aiutarti nell’opera che sei chiamata a realizzare. Se fosse ancora qui, sulla terra, avresti dovuto occuparti di lui, trepidare per lui e forse ancora soffrire tante volte. Se lui vive nella beata eternità, è già al sicuro, ha raggiunto la meta ultima. E tu puoi dedicare ad altri le tue energie. Il mondo ha bisogno di mamme che non hanno dimenticato la loro vocazione né abdicato al loro ruolo, mamme pronte a spendersi per generare vita. 

Verrà un giorno in cui tutto apparirà nella luce, in attesa di quel giorno chiedi al Padre celeste il coraggio di fare il bene e di asciugare le lacrime di chi soffre. È l’unico modo per trasformare l’evento più oscuro e doloroso in una storia capace di dare luce e gioia. Te lo auguro di cuore e prego il Signore che ti doni questa grazia. Ti abbraccio.

Don Silvio 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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