CORRISPONDENZA FAMILIARE

di Silvio Longobardi

La culla vuota e quel figlio che non arriva

21 Dicembre 2020

Gesù Bambino

Mentre si avvicina la notte del Santo Natale, don Silvio ci invita a orientare lo sguardo verso la famiglia, luogo da cui si origina la redenzione, con un’attenzione particolare agli sposi che desiderano un figlio.

In ogni presepe che si rispetti tutti gli attori sono già disposti, ciascuno nel posto che gli spetta. E tutti sembrano in attesa. In particolare Maria e Giuseppe che sono da tempo attorno ad una culla vuota, sono posti ai due lati di un pagliericcio di fortuna, preparato per adagiare colui che sta per venire. Nella notte di Betlemme, dopo il suono festoso delle campane, il presepe sarà completato, il più piccolo della casa andrà a deporre il Bambino nella culla, segno della vita che nasce e annuncio della vita che non muore. Un piccolo segno di quella grande certezza che accompagna e rischiara la vita dei credenti. 

Il Natale è il tempo liturgico in cui appare la bellezza e la fecondità della famiglia. Un’immagine antica e mai scontata. Contemplando il presepe, completo in ogni sua parte, non possiamo non pensare a quelle case in cui la culla resterà desolatamente vuota, quella degli sposi che ancora non possono stringere tra le braccia un figlio. Il loro desiderio è più che legittimo, appartiene alla dimensione più intima della nostra umanità ed esprime quella comune attesa di una vita piena che ogni uomo porta con sé. 

Le coppie senza figli sono più felici. Sono le conclusioni a cui è giunto un gruppo di ricercatori del Regno Unito. Vi sono indagini pilotate da una cultura che esalta l’individualismo. Non dubito affatto che la presenza dei figli renda la vita più complicata ma sono altrettanto certo che senza figli la vita è più triste, manca di futuro, non offre incentivi per affrontare la fatica del presente. I figli non sono un peso ma un bonus che rende più bella la vita. 

A pensarci bene la ricerca di un figlio è un boomerang: i figli sono fonte di continua preoccupazione e costringono i genitori a mettere da parte le proprie esigenze per prendersi cura di loro. Imparano così l’arte di amare e servire il prossimo. Una via stretta ma salutare. Chi vive solo per sé è come prigioniero di se stesso. Essere fecondi non significa solo generare attraverso la carne ma assumere uno stile di vita in cui il servizio degli altri diventa una regola di vita. Contrariamente a quello che si pensa, è l’unica che assicura la felicità. 

Chi ha maturato questo stile, non chiede né cerca a tutti i costi di avere un figlio perché il bambino non è un oggetto che si può comprare. Chiede semplicemente di essere padre o madre, cioè persone disposte ad amare e servire. Lo chiede e s’impegna a diventarlo. Chi desidera avere un figlio, ha bisogno di accumulare una certa somma di denaro. Chi desidera diventare un buon padre, cerca di acquisire le virtù necessarie per dare ad un figlio tutto l’affetto di cui ha bisogno. Chi entra nella logica del servizio, accoglie con amore tanto i figli generati nella carne quanto quelli inviati dalla Provvidenza. Sono tutti figli e tutti bisognosi anzitutto di essere amati. 

All’inizio dei tempi Dio rivolge alla coppia una parola che assume la forma di un comando: “Siate fecondi” (Genesi 1,29). È la stessa parola che risuona dopo il diluvio (Genesi 9,7). La fecondità è come il calcio d’inizio di una partita. Quando giunge la pienezza del tempo questa parola ritorna ancora ma in una forma nuova e imprevedibile: “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Luca 1,31). Non è più rivolta alla coppia perché non passa più attraverso l’incontro carnale. È bello tuttavia pensare che la redenzione inizia dalla maternità, il grembo gravido è il primo segno di una storia nuova. 

Vi sono tanti sposi che hanno paura di generare la vita perché temono di perdere la libertà. Altri hanno paura di non saper dare ai figli quello di cui hanno bisogno. E si aprono alla vita con il contagocce. E poi vi sono quegli sposi che mendicano un figlio. Quelli che sono rimasti credenti, non si stancano di supplicare il Signore e si preparano ad accogliere i figli che Lui manderà. Per loro oggi vogliamo pregare, in modo particolare per quelli che hanno consumato la mano a furia di bussare alla porta ed oggi sono stanchi e delusi. 

Nella notte di Betlemme, mentre deponiamo il Bambino nel presepe, chiediamo con fede che la presenza di Dio nella storia degli uomini possa seminare vita: rendere gravido il grembo di chi desidera un figlio e donare a tutti la gioia di una vita in cui l’inganno della felicità individuale viene sostituito dall’impegno sincero e generoso di rendere felici gli altri. Una grazia da chiedere ma anche una storia da scrivere con il cuore e con le mani.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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