
Un cuore pieno di Dio
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 6,34-44)
In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero loro; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
Il commento
“Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro” (6,34). Gesù non attende un’esplicita richiesta di aiuto, gli basta vedere la gente per comprendere il dolore che ciascuno porta nel cuore. La compassione di cui parla il Vangelo fa pensare all’amore carico di tenerezza che una madre rivolge al figlio, specie se debole e sofferente. Agli occhi del Nazareno non sono estranei ma figli e fratelli, membri di una stessa famiglia. Se manca questa coscienza la carità, anche quella apparentemente più generosa, è solo una beneficenza, al massimo una ragionevole solidarietà, ci limitiamo a dare qualcosa o a fare qualcosa ma non diventiamo amici e compagni di viaggio. Se invece la compassione diventa l’abituale luce interiore, possiamo vedere il dolore del mondo e possiamo anche sentirlo riecheggiare dentro di noi, lasciandoci ferire personalmente. Non solo. Chi nutre davvero compassione per l’altro riceve anche la forza di intervenire senza misurare i passi, senza pensare ai costi e alla fatica che dobbiamo affrontare per rispondere alle esigenze degli altri. È questo il punto di partenza della carità evangelica.
Il Vangelo non applica a nessuno il verbo della compassione [splanchnízomai], solo a Gesù, ma chiede a tutti di assumere lo stesso cuore del Figlio di Dio, come scrive l’apostolo: “camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5,2). Così facendo dice a tutti: se diventi uno in Gesù Cristo, se mediante il battesimo diventi figlio di Dio, ad immagine del Figlio Unigenito, allora avrai anche tu questa carità e riceverai dallo Spirito il coraggio di rispondere efficacemente alle molteplici necessità che attraversano la vicenda umana, anche quelle che apparentemente sembrano richiedere energie e risorse che non abbiamo. Non basta proporsi di fare il bene, dobbiamo amare Colui che è il Bene. Se il cuore è pieno di Dio, faremo le opere di Dio. È questa la grazia che oggi chiediamo.
Nessun commento per “Un cuore pieno di Dio”