Educazione

Whatsapp e privacy, cosa c’è da sapere?

di Stefania Garassini, giornalista, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, presidente Aiart Milano

Anche quando crediamo di navigare in completo anonimato, se non siamo degli hacker provetti, in realtà lasciamo delle tracce. Cosa possiamo farci? Non molto. Ricordarlo però è già un passo importante.

In questi giorni sugli smartphone di tutti gli utenti di Whatsapp è apparso un messaggio che ha creato una certa apprensione. Il tema è la privacy e i termini d’uso che cambieranno l’8 febbraio, consentendo un più ampio scambio di dati tra l’app di messaggistica – di proprietà di Facebook – e gli altri servizi che appartengono a Mark Zuckerberg, oltre alla stessa Facebook anche Instagram. 

Una comunicazione decisamente poco chiara da parte dell’azienda, alla quale non pochi utenti hanno reagito lasciando Whatsapp e passando ad altre app di messaggistica come Signal e Telegram, che hanno visto in pochi giorni un’impennata dei propri iscritti. Viste le proteste degli utenti e del Garante della Privacy, la stessa Whatsapp ha deciso di rimandare l’adozione dei nuovi termini d’uso al 15 maggio. In realtà la preoccupazione era in buona parte ingiustificata – o meglio tardiva – e vediamo perché. Ciò che cambierà realmente– ma non in Europa dove i regolamenti sul trattamento dei dati sono più restrittivi – riguarda soprattutto l’uso di Whatsapp per il business, un ambito che Facebook ha intenzione di potenziare. In pratica, se si utilizzerà Whatsapp per dialogare con una linea aerea e avere informazioni su un volo aereo o per chiedere il prezzo di una borsa è probabile che su Facebook o Instagram si troverà poi pubblicità di quelle stesse aziende. Per l’utilizzo di alcuni di questi dati il consenso diventerà obbligatorio per continuare a usare il servizio. Ma non sarà così per noi europei. 

Quello che doveva succedere in termini di scambio di dati fra Facebook e Whatsapp è già successo in buona parte nell’agosto 2016, quando l’aggiornamento dei termini d’uso stabiliva la possibilità per Facebook di conoscere il numero di telefono degli utenti di Whatsapp e svariati altri dati sull’utilizzo del servizio. In pratica tranne il contenuto dei messaggi e delle telefonate, le informazioni su quando e come ci colleghiamo, con chi, per quanto tempo, da quale dispositivo (e molto altro) sono note a Facebook già da più di quattro anni, senza che in molti se ne siano neppure accorti. Per sapere quali informazioni Whatsapp conserva sul vostro conto potete richiedere al servizio un “rapporto delle informazioni e impostazioni” (basta andare nelle impostazioni di Whatsapp e poi in “richiedi le informazioni sull’account”). Può essere utile fare questa operazione e invitare anche i nostri figli a farla, per poi iniziare un dialogo in famiglia sulla privacy online. 

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Si tratta di un tema centrale per l’uso della Rete, sul quale, come testimonia anche la vicenda di questi giorni, c’è poca chiarezza. È davvero difficile districarsi nei lunghi documenti che riportano normative e regole relative alle diverse app. Possiamo provarci e decidere con più accortezza quali dati vogliamo condividere, magari insieme ai nostri figli. È certamente un buon punto di partenza. Non facciamoci però troppe illusioni. Online la privacy in pratica non esiste. Quello che facciamo viene tracciato, per costruire un nostro profilo sempre più preciso e offrirci pubblicità, personalizzare meglio l’uso dei servizi, proporci articoli da acquistare e quant’altro. Anche quando crediamo di navigare in completo anonimato, se non siamo degli hacker provetti, in realtà lasciamo delle tracce. Cosa possiamo farci? Non molto. Ricordarlo però è già un passo importante. Ci porterà ad avere un atteggiamento improntato in generale alla prudenza, che ci induca a riflettere prima di fornire informazioni personali online.


Agli albori della Rete si diceva che un messaggio di posta elettronica aveva la stessa riservatezza di una cartolina. Oggi ne è una conferma la facilità con cui possono essere scattate foto alle chat o registrate le chiamate per poi diffonderle online spesso senza il consenso di chi è coinvolto. È fondamentale fare molta attenzione a quello che si decide di condividere, sia di se stessi, che soprattutto di altri utenti. E avere sempre ben presente che una volta immesso nella Rete un contenuto non è più nostro e non sarà possibile in alcun modo controllarlo. Non dimentichiamo poi la differenza tra un profilo pubblico e uno privato (su Tik Tok e Instagram ad esempio). Se si tratta di teenagers è in generale meglio che sia privato. In questo caso occorre richiedere un’autorizzazione per seguire un certo utente. Mettete in conto però che i vostri figli molto probabilmente non vi accetteranno tra i propri follower. In fin dei conti per un teenager la privacy più importante da preservare è proprio quella verso i genitori.




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