
Spettatori silenziosi
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 3,1-6)
In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
Il commento
“Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata” (3,1). Il protagonista principale è sempre Gesù: è lui che entra nella sinagoga, è lui che parla e agisce, di lui si parla. E tuttavia, se volessimo rappresentare la scena, dovremmo mettere al centro proprio quell’uomo con la sua evidente disabilità. All’inizio del racconto è presente come uno dei tanti, ad un certo punto Gesù gli chiede di occupare un posto centrale: “Àlzati, vieni qui in mezzo!” (3,3). Inizia lo spettacolo. Tutti guardano verso di lui, in attesa di vedere la prossima mossa del Nazareno. E Gesù, con consumata abilità, pone una domanda che inchioda ciascuno alla sua responsabilità: “È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?” (3,4). Tutti vogliono vedere lo spettacolo ma nessuno è disposto a prendere posizione. La sua domanda non trova alcuna risposta. A prima vista dovrebbe essere facile rispondere e invece tutti sembrano impreparati, non pensavano di essere interpellati, hanno paura di rispondere, non accettano il confronto. Quando dico tutti mi riferisco sia ai farisei, che guardano con sospettosa diffidenza, sia alla gente presente nella sinagoga. Molti di loro probabilmente vorrebbero gridare che quell’uomo ha diritto ad essere risanato ma non hanno il coraggio di esporsi. È una maggioranza silenziosa.
È una storia che si ripete drammaticamente lungo i secoli: quante volte l’ignavia dei giusti ha favorito il diffondersi del male. Questo silenzio fa male e soffoca il bene. La sorte di quell’uomo è come sospesa nel generale silenzio. Gesù lascia scorrere il tempo per dare a ciascuno la possibilità di guardarsi dentro. Prima era lui l’osservato speciale (3,2). Questa volta è lui a guardarli tutti, uno ad uno, con crescente sofferenza: “guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori” (3,5). Vorrebbe gridare per far capire che il silenzio soffoca l’amore. Ma sarebbe inutile. Decide allora di restituire all’uomo la salute e la dignità. E così firma la sua condanna. Oggi chiediamo la grazia di non essere spettatori silenziosi.
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