Coppia

Soul e la disponibilità a morire per amore

Screenshot del video https://www.youtube.com/watch?v=58zkFHGB0Gs Canale Youtube di Disney IT

di Pierluigi e Mariagiovanna Beretta

Stupore, dono, gratitudine e poi ancora dono: cos’hanno in comune queste tre parole?

«Certe volte la vita umana sembra essere troppo corta per l’amore. Certe volte invece no – l’amore umano sembra essere troppo corto per una lunga vita. O forse è troppo superficiale. In ogni caso l’uomo ha a disposizione un’esistenza e un amore – come farne un insieme che abbia senso?» (Karol Wojtyła, da «La Bottega dell’Orefice»). Quando una persona può dirsi pronta ad oltrepassare la fatidica soglia della morte? Questa domanda è stata recentemente oggetto di un nostro dialogo coniugale, scaturito dalla visione dell’ultimo film dei Pixar Animation Studios, intitolato “Soul”, uscito nelle sale (o meglio, nei salotti, in streaming!) lo scorso Natale.

Non vogliamo addentrarci in una critica del film, vogliamo invece osservare da vicino i due protagonisti, perché la loro fantastica e improbabile avventura è una provocazione per riflettere sul destino dell’essere umano e su ciò che compie davvero la vita (non sveleremo il finale ma racconteremo buona parte della trama). Per trovare la corretta chiave di interpretazione, ci metteremo devotamente in ascolto anche questa volta delle parole di San Giovanni Paolo II.

Una vita senz’anima

Il protagonista Joe è un pianista che si guadagna da vivere come insegnante precario in una scuola media newyorkese. Non coltiva affetti o amicizie con particolare impegno quindi vive solo, e si appoggia per le incombenze pratiche alla iper-protettiva mamma, che per lui sogna un posto e uno stipendio fisso. Ma Joe ha una sola grande passione, la musica jazz, ed è convinto che diventare musicista di successo sia la chiave del suo destino. Tutto ciò che non ha a che fare con la musica jazz, sembra contare per lui poco o niente. Quando l’occasione della vita sta per materializzarsi davvero, per un banale incidente si ritrova sospeso tra la vita e la morte, diretto inesorabilmente verso la “Grande Luce”. Ma Joe non è pronto per morire: La persona che non ama non vive secondo la propria essenza e la propria vocazione, quindi essa «vagherà da sola al di sotto della propria strada» (da «La Bottega dell’Orefice»).

Al solo pensiero di dover lasciare la sua vita terrena, fugge terrorizzato e viene catapultato in un immaginifico “AnteMondo”, dove le anime bambine si preparano alla vita. Lì avviene l’incontro decisivo con l’altra protagonista del film, “Anima 22”, un’anima bambina che non vuole nascere. “Anima 22” è un concentrato di cinismo e disillusione: conosce infatti tante cose degli uomini e delle loro faccende, ma tanta conoscenza teorica non le comunica alcuna passione per vivere, e quindi non esita a chiedersi «Perché tutto questo entusiasmo? Vale la pena vivere per poi morire?». 

Vi sono trame aggrovigliate.
Se provi a districarle senti che insieme ad esse dovresti strappare te stesso.
Ti basti allora guardare, cercare di capire,
non addentrarti pervicace che non abbia ad inghiottirti l’abisso:
è soltanto l’abisso del pensare, non è l’abisso dell’essere.

(Giovanni Paolo II, da «Descrizione dell’uomo»)

 

Dallo stupore, la coscienza del dono

Il dispiegarsi della trama da qui in poi cerca di dare una risposta alla domanda se “vale la pena vivere”. E la risposta, che si svela gradualmente nelle scelte e nelle intuizioni dei protagonisti, è profondamente consonante con gli insegnamenti di papa Wojtyla.

Infatti “Anima 22” dovrà subire suo malgrado una “incarnazione” e per la prima volta, avendo un corpo, proverà l’esperienza dello stupore: la calda luce del tramonto, una fetta di pizza, un papà che passeggia gioioso con una bimba, una conversazione con il barbiere, un seme d’acero che plana nell’aria… e sarà proprio lo stupore davanti al creato ad accendere in lei il desiderio di vivere.

Non si stupisce una fiumara scendente
E silenziosamente discendono i boschi
Al ritmo del torrente
– Però un umano si meraviglia.
Il varco che un mondo trapassa attraverso l’uomo
È dello stupore la soglia,
(una volta, proprio questo portento fu nominato “Adamo”.)
Ed era solo, col suo stupore,
fra le creature senza meraviglia
– Per le quali esistere e trascorrere era sufficiente.
L’uomo con loro scorreva
Sull’onda dello stupore!
Meravigliandosi…

(Giovanni Paolo II, da «Trittico romano»)

 

Leggi anche: Educare al piacere o educare all’amore?

Sul ruolo dello stupore, Wojtyła non ha dubbi: ciò che distingue l’uomo nel creato non è prima di tutto la capacità di pensare e farsi domande, bensì la capacità di stupirsi. La prima reazione dell’essere umano, immerso nella creazione, è lo stupore per tutto ciò che la creazione significa: tutto è dono, a partire dalla vita stessa, donata dal nulla. Lo stupore non nasce dal pensiero, ma dall’esperienza quotidiana, incarnata.

Dalla coscienza del dono, la necessità di donarsi

E Joe? Lui ha dimenticato lo stupore da molti anni, e anche davanti alla scintilla accesa di “22”, non vede altro che il suo jazz e vuole ritornare sulla terra. Così compie un’azione molto grave, ruba la scintilla vitale di “22” e così può ritornare a vivere nel proprio corpo, in tempo per realizzare il suo sogno di suonare in un famoso gruppo jazz.

Il concerto è un grande successo, ma a sipario calato e luci spente, Joe prova una amara disillusione e confessa sconsolato: «Stavo aspettando questo giorno da tutta la vita, e credevo fosse diverso». Ha messo la sua realizzazione personale davanti alle relazioni, e si è ritrovato ancora più solo e spaesato. 

Nel vuoto e nel silenzio della sua casa disadorna, Joe rivive i ricordi delle ore precedenti. Commosso, riporta poi alla mente anche i momenti di stupore della sua vita: ce ne sono tanti! Da bambino e da adolescente con i genitori, da adulto con i suoi alunni o a spasso per la città…

E così comprende:

Da “solo”, l’uomo non realizza totalmente l’essenza del vivere. La realizza soltanto esistendo “con qualcuno” – e ancor più profondamente e più completamente: esistendo “per qualcuno”.

(Giovanni Paolo II, catechesi del 9/1/1980)

Ora, colmo di gratitudine per il dono stesso del vivere, non può che sentire il bisogno di restituire a sua volta il dono a chi lo possa riconoscere come tale. E per lui non può che essere “Anima 22”.

“Io ho già fatto: ora tocca a te!” Così Joe Gardner si congeda da “22” mentre le restituisce definitivamente la scintilla vitale che le appartiene: la piccola anima è pronta per affrontare la vita sulla Terra e Joe è pronto per affrontare la Grande Luce con lo sguardo in pace.

Abbiamo individuato tre parole chiave, che lette in sequenza rappresentano a nostro avviso la dinamica essenziale della storia: stupore, dono, gratitudine e poi ancora dono.

L’epilogo del film poggia su di un colpo di scena, che non sveleremo, ma che a noi è parso davvero superfluo, se non addirittura incoerente con quanto visto fin qua. Il punto di arrivo della storia, a nostro avviso, è raggiunto quando Joe è disposto a morire per consentire a “22” di vivere: non ha rimpianti perché ha generato alla vita una nuova piccola anima. Ha sperimentato la paternità e questo ha riempito la sua vita. Ora che è divenuto padre non ha più paura di avviarsi verso la Grande Luce, verso l’abbraccio del Padre. E così “Tutto è compiuto”.




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