
Quel giorno felice
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,22-40)
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Parola del Signore.
Il commento
“Portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo [parastēsai = offrirlo] al Signore” (2,22). Maria e Giuseppe ripetono un gesto rituale che risponde ad una tradizione secolare, lo fanno in obbedienza alla Legge ma quell’evento ha per loro un significato sostanzialmente nuovo, sanno che il piccolo Gesù porta in sé tutto il mistero di Dio. Quel giorno si dispongono a consegnare a Dio quel Bambino che da Lui hanno ricevuto. L’evangelista riprende e cambia la prescrizione dell’esodo: “ogni maschio … sarà chiamato santo” (2, 23). In questo modo sottolinea la piena sintonia con la parola della rivelazione angelica (Lc 1, 35). Gesù è il Santo! Consacrato fin dal suo primo istante, viene ora offerto a Dio. L’evangelista parla degli animali offerti per la purificazione (2,24) ma non dice nulla sul riscatto del primogenito, previsto dalla Legge (Es 13,13). Egli vuole così proclamare che Gesù viene offerto al Signore una volta e per sempre, come suo consacrato. In questa prospettiva la fedele osservanza della Legge è solo la cornice esteriore nella quale si svolge un’altra e più profonda obbedienza.
La scena evangelica può trovare un’immediata risonanza nella vita dei consacrati. Essi sono essenzialmente l’icona di Gesù e sono dunque chiamati ad offrire la loro vita, con Lui e per Lui. Nel solco di una vita interamente donata vi sono esperienze in cui l’offerta di sé risplende in modo ancora più evidente. Come accade a Teresa di Lisieux che, seguendo un’improvvisa ispirazione, il 9 giugno 1895 si offre all’Amore misericordioso. È il passaggio decisivo, come lei stessa riconosce: “Madre diletta, lei che mi ha permesso di offrirmi così al buon Dio, lei conosce i fiumi o, meglio, gli oceani di grazia che sono venuti ad inondare la mia anima, da quel giorno felice mi sembra che l’amore mi penetri e mi circondi, mi sembra che ad ogni istante questo amore misericordioso mi rinnovi, purifichi la mia anima e non vi lasci nessuna traccia di peccato, perciò non posso temere il purgatorio” (Ms A 84). Oggi affidiamo al Signore tutti i consacrati, uomini e donne, e chiediamo che l’offerta quotidiana di se stessi sia fonte di gioia e primizia della beata eternità.
Nessun commento per “Quel giorno felice”