
Ti prendo per mano
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 1,29-39)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
Il commento
“La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei” (1,30). L’espressione non deve trarre in inganno. Nell’antichità la febbre era il sintomo di una malattia piuttosto grave, poteva essere anche mortale. Per sottolineare la serietà della patologia l’evangelista aggiunge che l’inferma “era a letto”. Non è in grado di muoversi. Impossibile non vedere un evidente contrasto tra il dinamismo di Gesù e l’immobilismo di questa donna. Un contrasto che tante volte ritorna nella storia: c’è un’umanità protesa al bene e un’umanità bloccata dal male, un’umanità pronta a servire la vita e un’umanità che s’impegna a sopprimere la vita. I discepoli non sanno come intervenire, sono l’icona della nostra incapacità. Chiamando in causa il Maestro, fanno la cosa più ragionevole, quella che apre una via d’uscita.
L’intervento di Gesù viene narrato con estrema concisione, evitando di sottolineare tutti quei particolari che danno eccessivo risalto all’elemento prodigioso: “Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano” (1,31). Non pronuncia alcuna preghiera, l’evangelista non riporta nessuna parola ma sottolinea i gesti: si avvicina e la prende per mano. Il primo verbo non è scontato, il farsi vicino offre l’immagine di un Dio che non vuole restare sulla soglia ma desidera entrare nella nostra vita. Il secondo gesto appartiene alle azioni più comuni della vita quotidiana: la prende per mano. E subito: “la febbre la lasciò” (1,31). Dalla sua persona esce una forza capace di comunicare la vita e vincere il male. Prendere la mano indica la condivisione, la partecipazione alla sofferenza. L’azione di Gesù ricorda che la vita di Dio passa attraverso i gesti della tenerezza. Oggi chiediamo il coraggio di prendere per mano quelle donne che, dinanzi ad un’imprevista gravidanza, sono immobilizzate dalla paura. Don Tonino Bello diceva che l’aborto è “un oltraggio grave” alla fantasia di Dio, “è un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano, è l’antigenesi più delittuosa, è la lacerazione più desolante”. Questa consapevolezza ci impegna a custodire il dono della vita con gesti concreti.
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