VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 14 febbraio 2021

Curare con amore le ferite in famiglia

Una delle piaghe che molte famiglie oggi si trovano ad affrontare è la mancanza di amore nei rapporti interfamiliari. La famiglia che è culla dell’amore, può diventare un carcere repressivo dove l’unica soluzione è scappare o difendersi attraverso la violenza. La mancanza di amore oblativo in famiglia porta a una sofferenza tale, che corrode la vita sentimentale a immagine della lebbra che corrode la carne. Come Gesù ci insegna, bisogna partire dalle fragilità di ognuno per curarle.

Dal Vangelo secondo Marco (1,40-45)
Guarì molti che erano affetti da varie malattie.
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

IL COMMENTO

di don Loris Sbarra

Oggi abbiamo una concezione astratta dell’amore, infatti tutte le relazioni a noi care vengono definite con lo stesso termine, come l’amore per la famiglia, gli amici, i beni materiali, gli animali ecc.. I greci facevano riferimento a diversi aspetti dell’amore, in base alle prospettive in cui veniva vissuto. Con il termine Philia (ϕιλία) si definiva l’amore tipico dell’amicizia, con il termine eros (ἔρως) l’amore passionale, e con il termine agàpe (ἀγάπη) l’amore oblativo, che fa amare l’altro sempre, senza condizioni e pretese. Nel Nuovo Testamento è riportato solo l’amore agàpico, l’eccellenza dell’amore a immagine dell’amore trinitario, che ogni credente in Cristo deve ricercare e vivere.

Potrebbe sembrare un amore astratto, troppo divino e impossibile per noi umani, ma non lo è affatto, perché l’amore trinitario si è fatto carne nella figura di Gesù di Nazaret, e i suoi discepoli -tutti i battezzati – con la Grazia di Cristo possono vivere questo amore. Egli ha amato ogni uomo, si è speso per coloro che avevano bisogno di puro amore, pur andando contro tradizioni consolidate e soprattutto contro i benpensanti chiusi nelle proprie presunzioni.

Le persone a cui il Signore si è amorevolmente dedicato, possono essere distinte in due categorie: la prima è quella degli emarginati, coloro che venivano discriminati perché considerati peccatori e impuri, e la seconda categoria è quella di coloro che erano colpiti da sofferenze fisiche. Gesù è la mano di Dio tesa ad ogni uomo che ha bisogno di essere guarito nel corpo e soprattutto nello spirito.

Domenica scorsa abbiamo visto il Signore avvicinarsi e prendere per mano la suocera di Pietro che era a letto con la febbre e, liberandola dal male, la fece rialzare (risorgere). Anche nel Vangelo odierno, vediamo il Signore che tende la mano a un infermo della categoria degli emarginati. Era un uomo affetto da lebbra, una delle malattie più disprezzate nel contesto culturale del tempo. Chi era affetto da lebbra era considerato impuro, quindi nemico di Dio. Mosè, durante la traversata nel deserto, aveva dato al popolo queste disposizioni: «Il Signore tuo Dio passa in mezzo al tuo accampamento; l’accampamento deve dunque essere santo, perché egli non veda in mezzo a te qualche indecenza e ti abbandoni» (Dt 23,15) e aveva posto sulla bocca del Signore quest’ordine: «Si allontani dall’accampamento ogni lebbroso o chi è impuro per aver toccato un cadavere, perché non contaminino l’accampamento in mezzo al quale io abito» (Nm 5,1-3). «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!» (Lv 13,45). Possiamo solo immaginare la sofferenza che viveva il lebbroso, egli subiva due condanne: quella sociale e quella di Dio.

Gesù è venuto a purificare questa falsa immagine di Dio: l’amore “agàpico” non può rinnegare la sua natura divina. Dio ama chiunque e senza pretese, nessuna delle sue creature è impura, tantomeno i suoi figli. Il lebbroso si inginocchia davanti a Gesù gridando: «Se vuoi, puoi purificarmi!» (v. 40). Dal grido di una condanna atroce, si passa alla consegna umile di un desiderio… una bella lezione di preghiera! Perfino Gesù si commuove, «ne ebbe compassione» (v.41), Gesù “compatisce, patisce-con…” fa sue le nostre sofferenze, chi ama lo fa sia nella cattiva che nella buona sorte. Oggi, molti matrimoni arrivano gradualmente alla morte, perché ognuno degli sposi è concentrato a soddisfare le proprie necessità senza ascoltare e accogliere quelle del proprio coniuge.

Una delle piaghe che molte famiglie oggi si trovano ad affrontare è la mancanza di amore nei rapporti interfamiliari. La famiglia che è culla dell’amore, può diventare un carcere repressivo dove l’unica soluzione è scappare o difendersi attraverso la violenza. La mancanza di amore oblativo in famiglia porta a una sofferenza tale, che corrode la vita sentimentale a immagine della lebbra che corrode la carne. Come Gesù ci insegna, bisogna partire dalle fragilità di ognuno per curarle. La cura delle proprie e altrui fragilità è la prima forma concreta di amore. Questo possiamo attuarlo solo intraprendendo un paziente cammino di misericordia coadiuvato dalla Grazia Divina. Non è sempre facile perdonare, ma è necessario. Se non c’è perdono in una relazione di coppia, tra i membri della famiglia, i problemi cominciano a moltiplicarsi.

È difficile dire: “Ti perdono”, oppure molte volte si perdona con le parole ma non con il cuore. Quando veniamo ingabbiati dall’orgoglio che limita l’atto di amore, volgiamoci al Signore e impariamo da Lui che è «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), solo il Signore può donarci la pace del cuore per amare, non dimentichiamo che solo l’amore guarisce e fa stare bene.

Nei momenti difficili, non diamo spazio alla rabbia di inondare il nostro cuore, ma ripetiamo le stesse parole che il Signore in croce ha rivolto al cielo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). È vero che, la maggior parte delle volte, le persone non hanno la consapevolezza del male che compiono. Bisogna avere pazienza e darci forza con la preghiera, il perdono è un atto di amore, di carità, che al momento opportuno converte il fratello riportandolo sulla via dell’amore. La fonte del perdono non è in me, è il cuore del Padre, è lì che devo andare ad attingere il perdono da donare. Perdonare è un meraviglioso atto di speranza, eliminiamo le etichette del risentimento o perfino dell’odio, probabilmente l’altro si convertirà, Dio starà operando nel cuore di questa persona, è sempre Suo figlio e mio fratello.

La persona che sto giudicando e condannando forse un giorno diventerà un grande santo. Quando guardiamo alle vite dei santi, tra loro vi sono degli assassini, degli adulteri, dei criminali, la Grazia ha trasformato il loro cuore. La peggiore sofferenza che un essere umano possa sperimentare è quella di non sentirsi perdonato dopo una conversione abbastanza combattuta. Non perdonare, vuol dire aver negato alla Grazia di Dio tutti i sacrifici compiuti per convertire il cuore del fratello.

Mercoledì prossimo riprenderemo il cammino di Quaresima, tempo di Grazia e conversione. Rivolgiamoci al Signore con le parole del salmo 50: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le Tue vie e i peccatori a te ritorneranno».

Non dimentichiamo, ad esempio, che le vittime dei divorzi sono sempre i figli e degli aborti sono anche le madri, impariamo quindi a versare più amore nelle ferite della società, il giudizio contribuisce solo a limitare l’amore. L’essere umano non può vivere senza amore, egli è fatto a immagine e somiglianza di Dio che è l’amore per eccellenza.


Don Loris Sbarra è responsabile dell’Ufficio Famiglia e Vita della Diocesi San Marco Argentano-Scalea (Cs)
Dottorando in Teologia della Famiglia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia.
Parroco della Parrocchia San Marco Evangelista in Cetraro M.na (CS)




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