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La Quaresima è alle porte, fate un regalo alla vostra famiglia: una dieta social

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di Giovanna Pauciulo

Sono almeno due le piccole vittime di una sfida diffusa su Tik Tok. Noi speriamo che il tutto si fermi qui, ma mentre l’azienda che gestisce l’app fa la sua parte, cari genitori, noi dobbiamo fare la nostra.

Uno dei social del momento è sicuramente Tik Tok. L’app, sviluppata in Cina e ben presto arrivata in tutto il mondo, è stata ultimamente obiettivo di polemiche per una sfida a dir poco folle: coprirsi totalmente il volto in modo tale da non poter respirare. Le conseguenze si sono già fatte sentire. Vittime due bambini che hanno perso la vita.

La prima è Antonella, 10 anni, di Palermo. Dopo aver visto una sfida diventata virale su TikTok, la bambina decide di emulare le gesta dell’influencer. La sfida è tanto semplice quanto drammatica: togliersi il respiro, fino a perdere conoscenza. Ma Antonella non ce l’ha fatta ed è stata trovata soffocata con la cravatta del padre.

Un’altra vittima, questa volta a Bari, di 9 anni. La tragedia è avvenuta nel pomeriggio del 26 gennaio. Stesso copione. A dare l’allarme è stata la mamma del bambino, inutili i tentativi di rianimarlo e la corsa in ospedale, dove è arrivato ormai in arresto cardiaco. 

Gli investigatori hanno trovato in Rete un Tik Tok, riconducibile al profilo di una 48enne siciliana, con un video che mostrava una sfida tra una donna e un uomo. I protagonisti si avvolgevano il volto con il nastro adesivo trasparente, in modo tale da non poter respirare. Tale video è stato considerato come “estremamente pericoloso” poiché visibile a tutti gli utenti senza restrizioni.

Leggi anche: TikTok e l’amara sorpresa di quei genitori…

E proprio su questo tipo di sfide l’influencer avrebbe basato la sua “fortuna”: in precedenza aveva pubblicato altri video come quello di cui sopra che le avrebbero portato ben 731.000 followers sul suo profilo. Disturbanti sono anche i commenti che si trovano su alcuni post, come: “Ciao, se mi saluti giuro mi lancio dalla finestra”.

L’azienda, che gestisce l’app incriminata, dovrà fare sicuramente la sua parte. Sono tante le pagine oscurate su altrettanti social solo per aver pubblicato post considerati omofobi, perché non attuare la stessa politica anche con video giudicati “pericolosi”? Ma la domanda a cui devo rispondere è: come possiamo, noi genitori, proteggere i nostri figli da sfide come questa? Come possiamo farlo senza generare in loro la paura dei social, senza terrorizzarli? 

Procediamo a ritroso. L’intervento educativo dei genitori finisce nel momento in cui il genitore ha la possibilità di verificare che il figlio sa fare un uso autonomo della Rete, ovvero è capace di scegliere da solo i contenuti utili alla sua formazione umana e sa gestire i tempi dell’uso, evitando il rischio della dipendenza. L’uso dei media chiama in gioco la libertà e la responsabilità, valori che i figli devono conquistarsi. Da questo punto di vista divieti e regole rigide sono utili e necessari sempre, e non solo quando ci si accorge che i figli non sono in grado di fare un uso consapevole e cosciente degli strumenti mediatici. In generale è necessario far seguire ai figli una dieta tecnologica ovvero l’uso controllato dei media per evitare i danni che possono nuocere al corpo e alla mente, a causa della sovraesposizione e dell’abuso dei media. Il genitore deve custodire spazi e tempi in cui dire con forza “adesso no!”, questo gli consente di educare alla gestione di questi strumenti. 

Il bambino sotto i tre anni non ha nulla da guadagnare dall’esposizione frequente allo schermo. Allo stesso modo, diversi studi suggeriscono che il gioco è molto più edificante per il bambino che sedersi e guardare uno schermo. Se si introducono le console di gioco portatili prima dei sei anni, queste inevitabilmente ottengono tutta l’attenzione del bambino sempre a scapito di altre attività di gioco più umanizzanti. Prima dei nove anni il bambino non ha gli strumenti per destreggiarsi in Rete. Non sa ad esempio, che tutto quello che viene pubblicato può divenire di pubblico dominio, e che non tutto ciò che si trova in Rete è vero o legittimo. Ecco perché almeno fino ai 12 anni è utile che la navigazione venga fatta insieme ai genitori.

A questa prima fase di controllo, deve seguire una seconda fase educativa in cui è la libertà e la responsabilità del figlio ad essere in gioco. Nell’adolescenza è bene trattare la questione apertamente anche ricorrendo allo strumento della negoziazione. Le soluzioni negoziali dei problemi sono le più efficaci. Si tratta cioè di costruire, in maniera collaborativa, un sistema di criteri che descrivano e delimitino i tempi di uso e la scelta dei contenuti. Concludo ricordando un principio ovvio ma spesso sottostimato: la questione educativa in famiglia è una questione di occhi più che di orecchie, cioè i figli imparano dall’esempio concreto dei genitori più che da quello che dicono. La Rete ha una capacità persuasiva in grado di ammaliare anche noi adulti e senza rendercene conto, finiamo col fornire ai nostri figli un esempio di come non utilizzare i social. Può essere utile, allora, indire per tutti i membri della famiglia una dieta social. L’avvicinarsi del tempo della Quaresima è un ottimo stimolo a fare questa scelta.




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