
Non c’è mai spazio per l’ira
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,20-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: Pazzo, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Il commento
“Ma io vi dico: chiunque si adira [orgizómenos] con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio” (5,22). Gesù raccoglie la tradizione antica ma invita a che ad attuare un rigoroso superamento, non è venuto per ripetere cose già dette ma per aprire un orizzonte completamente nuovo che s’innesta sulla storia d’Israele ma si propone di superarla. Il comandamento antico invita a non uccidere (Es 20,13) e condanna al giudizio l’omicida. La ratio del precetto è molto chiara, intende porre un limite alla violenza. Gesù va oltre, lui non si preoccupa solo di arginare il conflitto ma di sanare le ferite. Per questo non solo condanna l’ira ma anche il giudizio e perfino la derisione. E lo fa con parole molte severe che fanno intravedere l’esplicita condanna di Dio. Evidentemente questi comportamenti, peraltro molto diffusi, sono ritenuti incompatibili con la fede. Lo dobbiamo tener presente quando affrontiamo alcuni temi etici e facciamo la lista dei comportamenti che ci impediscono di entrare nella Vita. Stando a questo Vangelo, l’etica della comunione non è meno importante dell’etica sessuale. In fondo sono due ambiti strettamente congiunti, due espressioni di uno stesso comandamento, quello di amare l’altro come e più di se stessi. Per dare maggiore risalto alla parola di Gesù occorre notare che nessuno di questi atteggiamenti condannati da Gesù contempla la violenza fisica: l’ira indica solo il movimento interiore, le altre due modalità riguardano l’aggressione verbale. E tuttavia, la condanna del Signore è netta, inequivocabile. Quando ci troviamo in mezzo ai conflitti è facile lanciare accuse e così giustificare il nostro comportamento, Gesù invece invita a estirpare l’ira che ha preso dimora in noi e che condiziona pesantemente il nostro sguardo, amplificando i torti ricevuti; chiede di soffocare l’ira prima che si trasformi un un’offesa, non importa se fatta di parole o di gesti. La parola del Vangelo è tagliente, “come una lama a doppio taglio” (Eb 4,12). È una parola che ferisce ma, proprio per questo risana. Oggi chiediamo la grazia di accoglierla con la più grande docilità.
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