
In buona compagnia
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 11,14-23)
In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde».
Il commento
“È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni” (11,15). Il ministero di Gesù pubblico incontra il favore dei discepoli che accolgono con fiducia le parole e i gesti del Maestro; ma si scontra anche con lo sguardo sospettoso dei farisei che lo accusano di essere complice del maligno. Non si tratta di una critica motivata ma di una vera e propria calunnia, una plateale e offensiva diffamazione. Come sia possibile vedere il male dove c’è il bene, è uno dei segni di quel mistero dell’iniquità che acceca il cuore. L’atteggiamento dei farisei purtroppo ha trovato e trova mille repliche nella storia umana e noi stessi, probabilmente, ne abbiamo fatto esperienza. Sappiamo che il diavolo talvolta si veste come un angelo di luce per seminare ombre; ed è vero che a volte il nostro impegno non è privo di motivazioni egoistiche, ci sono situazioni in facciamo il bene più per noi stessi che per gli altri, per sentirci a posto oppure per acquisire un certo prestigio agli occhi degli altri. Tutto questo può accadere a noi, che siamo creature fragili. Ma non è certo il caso di Gesù: Lui agisce con il “dito di Dio” (11,20), la sua azione non è inquinata dall’umana debolezza. E tuttavia, se anche la sua opera viene deformata dal giudizio degli uomini, perché stupirci se le persone non riconoscono il bene che abbiamo fatto? Se il Maestro è stato criticato così pesantemente, mettiamo in conto le incomprensioni. Può accadere che invece di ricevere un legittimo e auspicabile riconoscimento, riceviamo critiche che feriscono; invece di sentire la voce della gratitudine ci scontriamo con giudizi che avanzano dubbi sulla correttezza del nostro operato. Se questo accade, ricordiamoci che siamo in buona compagnia, viviamo la stessa esperienza di Gesù. Possiamo accogliere in silenzio la disapprovazione ma nulla vieta di manifestare, in tutta umiltà e con parole appropriate, la coscienza di avere agito solo in nome di Dio. Il modo con cui accogliamo le critiche altrui è la prova provata che siamo interiormente liberi e cerchiamo unicamente la gloria di Dio.
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