
Padre a tempo pieno
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 1,16.18-21.24)
Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
Il commento
“Così fu generato Gesù Cristo” (1,18). Questa pagina annuncia la vocazione di Giuseppe, descrive la chiamata di Dio e l’immediatezza della sua risposta. E tuttavia, fin dalle prime battute si comprende chiaramente che tutta l’attenzione è rivolta a Gesù. L’evangelista vuole spiegare perché il figlio di Maria appartiene alla discendenza di Davide. La vita di Giuseppe appare dunque profondamente intrecciata a quella di Gesù, non è lui che lo ha generato nella carne ma è lui che lo ha accolto e gli ha dato il nome. Grazie a lui, il Figlio di Dio fatto uomo entra nella storia d’Israele come un figlio della dinastia davidica. E come tale verrà riconosciuto. Giuseppe mette tutta la sua vita a servizio di Gesù, fu padre a tempo pieno, impegnò tutte le sue energie per custodire quel bambino che avrebbe portato la salvezza al mondo intero (1,21). Tutto e solo a servizio di Dio! Sarebbe bello se questo potesse essere detto di ciascuno di noi. Servi di Dio e di nessun altro. Servi di quella storia in cui Dio risplende come il Padre che di tutti si prende cura.
All’intercessione di san Giuseppe oggi affidiamo con particolare affetto i presbiteri perché imparino a vivere la paternità secondo il cuore di Dio. Quando li chiamiamo pastori pensiamo inevitabilmente al ministero di colui che guida il popolo di Dio, ci soffermiamo maggiormente sul ruolo e sull’autorità. Quando invece li presentiamo come padri emerge l’immagine di un uomo chiamato a vivere una particolare relazione con i fratelli che Dio affida alle sue cure. Una relazione plasmata da alcune virtù: la generosità del donare e del donarsi; la gratuità che arriva a dimenticare se stessi; la pazienza che consiste nel seminare e attendere la maturazione dei frutti; la disponibilità a soffrire per il bene dei fratelli. Dobbiamo riscoprire la paternità come atteggiamento del cuore e stile di vita. A partire dalla paternità l’esercizio dell’autorità assume il volto e la forma del servizio umile e disinteressato. È una grazia che oggi vogliamo chiedere per tutti i nostri presbiteri.
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