DOMENICA IN PASSIONE DOMINI – Anno B – 28 marzo 2021

Il giorno della consegna

In amore non si possono avere riserve, bisogna donarsi totalmente e, per donare, bisogna svuotarsi. Cristo è la massima espressione dell’amore di Dio, Egli si è spogliato della sua divinità per assumere la nostra misera umanità.

Dal Vangelo secondo Marco (14,1-15,47)
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.

IL COMMENTO

di don Loris Sbarra

Dopo l’intenso cammino quaresimale che ha avuto inizio Mercoledì delle Ceneri, – durante il quale ogni credente si è sforzato di convertire il proprio cuore conformandolo alla fede evangelica secondo le parole usate dal sacerdote nel rito dell’imposizione delle ceneri: “Convertiti e credi nel Vangelo” (Mc 1,15) – in questa Domenica delle Palme entriamo nel vivo della Passione del Signore.

La Settimana Santa, ci fa vivere la massima espressione dell’amore di Dio verso questa umanità intrisa di peccato, dove possiamo vedere il compimento della parabola del chicco di grano raccontata da Gesù ai greci domenica scorsa: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Proprio nell’amore che si dona fino a morire possiamo vedere il frutto della Grazia di Dio che porta alla vittoria del bene sul male. Possiamo comprendere l’amore di Dio che si manifesta pienamente nella Passione di Gesù, solo se siamo disposti a compatire (patire-con) con Gesù la gloria della croce che si manifesta nella sua misericordia verso tutti coloro che avevano rifiutato il suo amore.

Ogni volta che leggiamo e meditiamo i testi della Passione, restiamo sempre attoniti e perplessi nel vedere tanta crudeltà che si scaglia nei confronti di un giovane innocente, che ha dedicato tutta la sua vita ad amare il prossimo, perfino coloro che venivano rifiutati dalla società come peccatori e lebbrosi. Perché tanto odio? Perché tutto questo accanimento? Perché nessuno è riuscito a fermare questa violenza inaudita verso un uomo che non ha mai usato la forza neanche nel momento dell’arresto? Lo stesso centurione, contemplando Gesù morire in croce, arriva a dire: “Davvero quest’Uomo era Figlio di Dio!”. Con quale coraggio si arriva a ridicolizzare un uomo in fin di vita solo “reo” solo di aver amato il prossimo? “Ha salvato gli altri, perché non salva se stesso, così gli crederemo?” (Mc 14,31). Questo brutale scenario, non è un dramma accaduto duemila anni fa di cui conserviamo un ricordo tramandato, ma è la triste realtà che ancora oggi continuiamo a vedere in tanti uomini e donne segnati dal dolore ingiusto.

Questa è la logica del potere che mira a rendere gli uomini rivali tra di loro, facendo loro perdere la consapevolezza dell’essere fratelli, figli del Padre celeste.

Il Vangelo della Passione secondo Marco inizia con due immagini di rilievo: l’imminenza della pasqua ebraica durante la quale si concretizza il complotto decisivo contro Gesù da parte delle autorità religiose del tempio che manifesta la tensione tra le realtà religiose giudaiche e il nuovo Regno di Dio, che sta ormai per essere impiantato definitivamente nel mondo con il sacrificio di Gesù in Croce.

L’altra immagine che l’evangelista ci offre è la presenza di Gesù a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Se da una parte vediamo un clima di complotto, morte e menzogna da parte delle autorità religiose, dall’altra vediamo un clima familiare. Gesù si trova a tavola nella casa di Simone il lebbroso, ad un tratto giunge una donna con un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, e compie un gesto eloquente: versa il contenuto sul capo di Gesù. Il gesto della donna non passa inosservato, anzi crea indignazione tra i presenti perché viene concepito come un inutile spreco. “Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri” (Mc 14,5). È un gesto di pura fede, anticipa per Gesù il senso della sepoltura, uno “spreco liberamente necessario” che permette a Dio di realizzare in modo definitivo il suo Regno.

In amore non si possono avere riserve, bisogna donarsi totalmente e, per donare, bisogna svuotarsi. Cristo è la massima espressione dell’amore di Dio, Egli si è spogliato della sua divinità per assumere la nostra misera umanità: “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma SPOGLIÒ’ se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,6-7).

È il concetto teologico della “Kenosis” che ci aiuta a comprendere la volontà di Dio: come Dio si è spogliato della sua divinità per rivestirsi della nostra carne mortale, così l’uomo è chiamato a spogliarsi delle cose del mondo per rivestirsi della divinità di Cristo.

Nel racconto della Passione, il “consegnarsi” di Gesù diviene una graduale “spoliazione”, un percorso che inizia già durante l’Ultima Cena, continuando durante l’arresto nel Getsèmani quando viene abbandonato da tutti (cfr. Mc 14,50), nel sinedrio dove viene accusato e spogliato della sua ebraicità accusandolo di blasfemia (cfr. Mc 14,64). Pilato e la folla inferocita lo spogliano del suo diritto di cittadinanza accusandolo di essere un falso re e un sobillatore di popolo (cfr. Mc 15,15). I soldati lo spogliano dei vestiti e della carne flagellandolo alla colonna e lasciandolo nudo sulla croce.

Gli uomini hanno potuto spogliare esteriormente Nostro Signore Gesù umiliandolo e strappandolo all’esistenza umana, ma dell’amore di Dio per l’uomo mai nessuno potrà spogliarcene. Nell’istante prima di morire, dopo aver chiesto misericordia per i suoi carnefici, è Gesù a compiere la sua ultima spoliazione attraverso il suo grido di abbandono al Padre (cfr. Mc 15,37) consegnando in suo spirito.

Ti chiediamo, Signore Gesù,
di guidarci in questo cammino verso Gerusalemme e verso la Pasqua.

Donaci di verificare sui tuoi passi i nostri passi di ogni giorno.
Concedici di capire, in questa settimana che stiamo iniziando,
come tu ci hai accolto con amore, fino a morire per noi,
e come l’ulivo vuole ricordarci che la redenzione e la pace da te donate
hanno un caro prezzo, quello della tua morte.
Solo allora potremo vivere nel tuo mistero di morte e di risurrezione,
mistero che ci consente di andare per le strade del mondo
non più come viandanti senza luce e senza speranza,
ma come uomini e donne liberati della libertà dei figli di Dio.
(Carlo Maria Martini)


Don Loris Sbarra è responsabile dell’Ufficio Famiglia e Vita della Diocesi San Marco Argentano-Scalea (Cs)
Dottorando in Teologia della Famiglia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia.
Parroco della Parrocchia San Marco Evangelista in Cetraro M.na (CS)




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