CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Morte e vita si affrontano. Perché abbiamo tanta paura?

5 Aprile 2021

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C’è un ambito particolare in cui morte e vita oggi si affrontano. Ed è quello della vita nascente.

La liturgia pasquale non è la camomilla a cui siamo abituati, quella “santa e serena Pasqua” che passa attraverso i social condita con immagini suggestive. È il tradimento dei credenti ingenui che si tengono lontani dai problemi e sperano di non incontrare mai le tempeste della vita. In realtà la Pasqua, più che ogni altra festa liturgica, ripropone quel dramma che accompagna tutta la storia dell’umanità e trova il suo punto di partenza proprio nella resurrezione del Signore:

“Morte e Vita si sono affrontate / in un prodigioso duello.

Il Signore della vita era morto / ma ora, vivo, trionfa” 

La liturgia parla di un combattimento, nella vicenda di Gesù morte e vita si scontrano, checché ne dicano i buonisti si tratta di un conflitto inevitabile. Lo dice solo la ragione storica, lo conferma la ragione teologica: il principe delle tenebre non si arrende e trova sempre, nelle file dell’umanità, complici astuti e determinati.

Il duello tra morte e vita attraversa tutti gli ambiti della vita sociale e genera danni che tutti possono vedere. È pur vero che, per una malaugurata legge della comunicazione, le opere del male sono amplificate dai media oltre ogni misura, a scapito di quel bene che, sulla bilancia della storia, supera di gran lunga l’ingiustizia e la violenza. E tuttavia, resta il fatto che non si può fare il bene se non siamo pronti a lottare contro il male, non si può annunciare la verità se non siamo disposti a combattere la menzogna che in mille modi viene proposta da chi gestisce il potere. 

C’è un ambito particolare in cui morte e vita oggi si affrontano. Ed è quello della vita nascente. Con pacata fermezza, agli inizi degli anni ’80, Giovanni Paolo II faceva notare che nella società occidentale aveva trovato crescente spazio una “mentalità contro la vita” che, con raffinate strategie, paventava un incremento demografico incontrollabile e gettava ombre sulla sacralità della vita umana. Era solo la premessa di una stagione culturale in cui la vita del bambino in grembo alla madre, non ha più valore assoluto ma dipende unicamente dalla decisione della donna che sceglie in base ai suoi interessi individuali. Se quel bambino è un intralcio, se impedisce di realizzare gli obiettivi prefissati, viene eliminato.

Non c’è nessuna legge al mondo che permetta l’uccisione dei cuccioli. E non c’è nessun politico sensato che avanza proposte di questo tipo. E invece, nella gran parte dei Paesi l’aborto – cioè l’uccisione di un bambino innocente – viene non solo permesso ma anche favorito con ogni mezzo. Ingenti risorse economiche sono messe a disposizione della cultura di morte. Ci sono potenti organizzazioni internazionali che operano in questo senso e investono miliardi di dollari, le più attive e combattive sono la International Planned Parenthood Federation, la Fondazione Gates et l’Open Society de George Soros. Sulla carta si impegnano per la salute sessuale riproduttiva. In realtà lottano per fare riconoscere l’aborto come un diritto fondamentale e lavorano per far approvare risoluzioni che eliminano ogni forma di obiezione di coscienza. Quest’attività sposa perfettamente la cultura dominante, si trova a braccetto con il Potere. È assai probabile che nei prossimi anni qualcuna di queste Fondazioni riceverà il Nobel per la Pace, grazie al lavoro che fanno per l’accoglienza dei migranti e alle iniziative di sviluppo nei Paesi più poveri del pianeta.

Dinanzi a questo scenario così inquietante, in cui un cattolico potrebbe e forse dovrebbe riconoscere la presenza oscura del maligno, mi meraviglia assai constatare nella Chiesa un atteggiamento troppo defilato, come se fosse una battaglia di retroguardia. In riferimento alla situazione italiana, mi pare di poter dire che, ad eccezione della campagna referendaria sulla Fivet (2005), promossa con decisione dal cardinale Ruini, allora Presidente della CEI, non c’è mai stata una forte presa di posizione, mai una manifestazione di un certo rilievo. La Giornata per la vita è un appuntamento stantio che non scuote più la coscienza. E difatti, in un’epoca in cui tutto passa per il web la Chiesa non elabora sussidi e strumenti di comunicazione per far arrivare in modo tempestivo ed efficace messaggi valoriali alla comunità dei credenti. Niente di niente.

Ho l’impressione che il mondo cattolico sia rassegnato dinanzi al male. Non ritiene più necessario difendere le proprie convinzioni, ritiene che sia meglio cercare un accordo con chi la pensa diversamente. L’intenzione è nobile ma rischia di annacquare la verità e di promuovere una fede che non sa più giudicare gli eventi alla luce del Vangelo e di quella dottrina che la Chiesa ha saputo custodire lungo i secoli, malgrado le minacce e le intimidazioni. 

Eppure non manca nel popolo di Dio una discreta sensibilità su questo tema, frutto di quella cultura pro life che ha trovato in Giovanni Paolo II un promotore instancabile. La sensibilità non resta confinata nelle buone intenzioni ma non raramente si traduce in impegno fattivo. E tuttavia, dobbiamo ammettere che si tratta di una minoranza che nuota controcorrente non solo nell’ambito sociale ma anche in quello ecclesiale.

Il sostanziale silenzio della Chiesa di fatto annebbia la vista, emargina l’impegno per la vita nascente, fa pensare che altri sono gli ambiti sociali in cui è più doveroso intervenire e sono, guarda caso, proprio quelli che vengono propagandati dalla cultura dominante, alleata con il potere politico. Mi preoccupa una Chiesa che rinuncia ad affermare il valore della vita nascente e sposa l’etica della solidarietà proposta dal Potere. Non è un cedimento, dicono quelli che plaudono a questa strategia, serve a riposizionare la Chiesa nel suo complicato rapporto con il mondo. In fondo, la dottrina non viene messa in discussione. A mio parere è un terreno scivoloso, il passaggio dal cedimento al tradimento è più facile di quello che si pensa.

Non so nulla di strategie politiche e comunicative, le lascio ai sapienti. A me interessa restare aggrappato alla sana dottrina, quella che faceva scrivere a Giovanni Paolo II: 

“Contro il pessimismo e l’egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel , di quell’ Amen, che è Cristo stesso (cfr. 2Cor 1,19; Ap 3,14). Al no che invade ed affligge il mondo, contrappone questo vivente , difendendo in tal modo l’uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita. La Chiesa è chiamata a manifestare nuovamente a tutti, con un più chiaro e fermo convincimento, la sua volontà di promuovere con ogni mezzo e di difendere contro ogni insidia la vita umana, in qualsiasi condizione e stadio di sviluppo si trovi” (Familiaris consortio, 30).

Queste parole sono vecchie di quarant’anni fa eppure mi sembrano più attuali di tante idee che oggi circolano nel mondo ecclesiale.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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1 risposta su “Morte e vita si affrontano. Perché abbiamo tanta paura?”

Proprio così don Silvio. Ma la “goccia scava la roccia”. Per questo bisogna parlarne di continuo usando chiarezza e scienza. Anche le persone “lontane” lo sanno che stare dalla parte della vita è giusto e porta la pace.

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