8 aprile 2021

8 Aprile 2021

“Quando diremo le parole belle, buone, che svelano il senso delle cose?” | 8 aprile 2021

Paura e speranza. Speranza e paura. Siamo stretti in questa morsa da troppo tempo. Abbiamo riorganizzato la nostra vita. Imparato a convivere con mascherine e gel per le mani. Automaticamente quando all’orizzonte vediamo comparire un essere umano che strettamente non fa parte della cerchia dei nostri conviventi e per caso ci ritroviamo in quel momento sprovvisto del dispositivo di protezione, lo cerchiamo come un naufrago un salvagente cui appoggiarsi.

Diffidiamo, distanziamo, teniamo a bada quelle mani che erano abituate a protendersi in strette vigorose e abbracci improvvisati. Ci siamo inventati nuovi linguaggi del corpo per comunicare. Gli occhi per esempio. Sì, credo stiano lavorando il doppio del solito. A loro è affidato tutto il carico che prima interessava anche le altre membra nel linguaggio non verbale. Ce la stiamo mettendo tutta. Eppure abbiamo bisogno di attingere e di bere a qualche fonte di acqua pulita. Sentiamo il bisogno di staccare la mente e il cuore dalla paura e dalle preoccupazioni. Dal terrore che questo virus attacchi qualcuno a noi caro. Non è tanto l’angoscia di perdere quella persona – abbiamo fatto passi considerevoli nell’identificazione della terapia – ma la paura di non poter prendersi cura di lei, starle accanto, manifestare il proprio affetto. La pandemia ha cercato di strappare la consolazione della presenza, della prossimità… ma io non credo ci sia riuscita del tutto. Il cuore dell’uomo è capace di andare oltre. Le madri lo insegnano. Nessun figlio è mai lasciato solo. Senza una carezza. Senza un gesto di tenerezza, senza una parola di speranza.

Quando ieri ho letto sul Corriere della Sera, la bellissima intervista all’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ho sentito il battito della Madre Chiesa e ho provato grande consolazione. «Se il virus occupa tutti i discorsi non si riesce a parlare d’altro. Quando diremo le parole belle, buone, che svelano il senso delle cose? Se il tempo è tutto dedicato alle cautele, a inseguire le informazioni, quando troveremo il tempo per pensare, per pregare, per coltivare gli affetti e per praticare la carità? Se l’animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza? Se uomini e donne vivono senza riconoscere di essere creature di Dio, amate e salvate, come sarà possibile che la vicenda umana diventi “divina commedia”?».

In queste domande, che risuonano come un grido, c’è tutta la preoccupazione di una madre capace di guardare oltre i propri piedi. In queste parole scomode, che esigono risposte concrete, c’è il tentativo di aprire una crepa nella paura. È questo quello che mi aspetto dalla Chiesa. Non esortazioni simili a quelle dei politici o dei medici. Di quelle ne abbiamo da riempire botti ma parole capaci di riaccendere la speranza. Oggi. Non domani.

Sinceramente non comprendo tanti preti che sono lì ad aspettare che finisca la pandemia per riprendere la pastorale o gli appuntamenti sacramentali. La fede come l’amore non può aspettare tempi migliori per manifestarsi. Sono proprio i momenti peggiori quelli in cui deve risplendere con maggiore forza. Proprio come una lampada che si mette sul moggio non quando è giorno. Non servirebbe a nulla. Ma quando è sera perché faccia luce a tutta la casa.


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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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