Utero in affitto

Gravidanza solidale: la definizione che non cambia la realtà

Rachele Sagramoso

di Giovanna Abbagnara

Cosa prova concretamente una donna quando si separa dal bambino alla nascita? Cosa c’è di solidale in una cosa del genere? Un disegno di legge tenta in tutti i modi di guadagnare terreno a favore della maternità surrogata, ma le parole dell’ostetrica Rachele Sagramoso sono chiare: “Non oso immaginare cosa succede nella mente di una donna che porta avanti una gravidanza sapendo che darà via quel figlio”.

L’operazione lessicale portata avanti da alcuni politici e dall’Associazione Luca Coscioni mira a cambiare l’opinione pubblica. Così che norme e pratiche possano essere più accettabili da tutti. È quello che si cerca di fare con la “legalizzazione della maternità surrogata solidale” a firma dei deputati Guia Termini, Doriana Sarli, Riccardo Magi, Nicola Fratoianni ed Elisa Siragusa. 

Cosa desidera disciplinare la proposta di legge? “Si pone l’obiettivo di disciplinare e regolamentare il tema della Gravidanza solidale e altruistica in Italia, al fine di evitare situazioni di incertezza normativa e fornire piena tutela ai diritti di tutti i soggetti coinvolti e, in particolar modo, ai minori nati all’esito di tale percorso, anche all’estero, a seguito dell’applicazione della legge straniera”. 

Con la definizione di “Gravidanza solidale e altruistica”, si fa riferimento alla gestazione portata avanti da una donna che sceglie in maniera libera, autonoma e volontaria di ospitare nel proprio utero un embrione sviluppato attraverso le tecniche di fecondazione in vitro, di favorirne lo sviluppo fino alla fine della gravidanza compreso il parto. Una proposta che va a colpire pesantemente la legge 40 che punisce questa pratica offendendo profondamente la donna e minando nel profondo le relazioni umane. Ho voluto parlarne con Rachele Sagramoso, ostetrica, mamma di 7 figli, che da alcuni anni è molto attiva sul tema della maternità proponendo alla luce della sua esperienza riflessioni molto interessanti. 

Partiamo dalla definizione di gravidanza solidale…un linguaggio che mistifica la realtà. Cosa ne pensi?

Il bene per essere tale deve essere il bene di tutti, non solo di alcuni. Per questa ragione io mi domando nella pratica della gravidanza solidale: qual è il bene del bambino? Non possiamo parlare di solidarietà quando parliamo di gravidanza. Dato che in questo caso stiamo parlando anche di un’altra persona, una terza persona che non è consapevole e non può decidere né esprimere il suo parere. Una terza persona costretta a subire le conseguenze delle nostre scelte pertanto non lo definirei un gesto di solidarietà. Come sempre il nascituro sembra non essere considerato al di là dell’aspetto giuridico. 

Il bambino ad ogni costo…

Sì, qui il figlio è un oggetto tra tre donne: quella d’intenzione, quella che vende i propri ovociti e quella che porta avanti la gestazione. Qui la creatura che attecchisce nell’utero della donna non è considerata in quanto persona. 

I sostenitori di questa proposta insistono molto sulla libertà con la quale una donna sceglie di portare avanti una gravidanza solidale. Tu come leggi questa libertà?

È facile parlare di libertà quando si tratta di qualche altra persona. Noi dovremo delle risposte a questi figli che nascono dalle gravidanze solidali. Quanti di noi sarebbero disposti a reggere il confronto rispetto a questo? Basterà dire loro “tu sei il figlio della mia libertà”? Se talvolta si ha difficoltà a fornire risposte di senso a bambini che vivono situazioni di abbandono o di adozione, la società avrà la maturità di fornire risposte a bambini che sono nati attraverso questa pratica? Basta l’amore? Non credo proprio… L’amore non può essere una giustificazione a tutto. Se posso sentirmi legittimato a programmare un bambino in questo modo, per amore posso giustificare qualsiasi altra cosa. I bambini non hanno bisogno solo di amore, anche di educazione, di solidità, di sostegno. L’amore è il presupposto, di tutto questo. 

Perché secondo te, l’adozione non è così sostenuta in Italia come opportunità per diventare genitori e invece le forze politiche sono così impegnate nella campagna in favore della gravidanza extracorporea?

Bisogna innanzitutto partire dal presupposto che un bambino non è la felicità di qualcuno: non si dà un bambino a una famiglia, ma semmai si dà la famiglia ad un bambino. Qui c’è un grande problema culturale ed economico. La mercificazione di gameti, l’esistenza di cliniche specializzate in fecondazione in vitro, rappresenta un mercato non indifferente. Da un punto di vista femminile, io non credo che ci sia una donna in grado di essere completamente preparata ad una gravidanza per altri. Non è solo una questione di preparazione organica, ma di interventi chirurgici e farmacologici, e di prepararsi al distacco dal bambino e il dopo, quando ti ritrovi delle mammelle che perdono latte come fossero lacrime. La mente può anche mentirsi, ma il corpo no. 

Nella logica di questa proposta, perde di valore proprio il tempo della gravidanza…

Ma, di fatti, non si conosce il valore della gravidanza. Non è come cuocere un panetto da infornare a cottura. La gravidanza è una relazione, il bambino sente i sapori del cibo che ha mangiato mamma, il piccolo dà un calcio, la mamma risponde con una carezza sulla pancia. La maternità è una relazione che non si potrà mai spegnere. 

Tu, da ostetrica, hai seguito tante donne. Concretamente quali sono secondo te le ricadute su una madre che lascia il proprio figlio?

Non oso immaginare cosa succede nella mente di una donna che porta avanti una gravidanza sapendo che darà via quella persona. Jean-Pierre Relier autore del libro “Amarlo prima che nasca”, è un neonatologo (ateo) e dice che non è possibile che la nascita di un figlio non ti cambierà oltretutto sapendo che il bambino vivrà con un’altra donna che si farà chiamare mamma

Qualcuno potrebbe obiettare: che differenza c’è con il parto in anonimato legiferato in Italia?

Io ho avuto la gioia di assistere ad un parto di questo tipo. La donna veniva da una situazione difficile e quella gravidanza era probabilmente il frutto di una violenza: lei aveva scelto per la vita del figlio, coraggiosamente e in modo anticonformista. Lei aveva scelto di salvare il bambino, non di donarlo come fosse un pacco, un oggetto qualsiasi. Ed è decisamente un’altra prospettiva di maternità…

Se tu dovessi dare un’alternativa alla proposta di legge sulla gravidanza solidale, cosa diresti alle donne?

Direi innanzitutto di comprendere cosa significa essere madri. In seconda istanza direi loro di mettersi in comunicazione con persone che hanno fatto dell’adozione la loro realizzazione genitoriale. La genitorialità è un donarsi ad altri, non è un prendere dal bambino per realizzare i propri desideri. Sono tante le storie di persone che hanno fatto del figlio la loro realizzazione personale, ma un figlio non è questo: infatti la relazione tra tali genitori e i figli è stata molto turbata, una volta che il figlio non ha realizzato ciò che era in progetto per lui. Il figlio è colui a cui tu doni la tua vita. 

Nella gravidanza solidale al centro c’è sempre la donna, ma che fine fanno i papà?

I padri sono invisibili, quando si parla di fecondazione extracorporea. Non essendo coinvolti che per una donazione di sperma, molti uomini si adeguano al bisogno che la donna possiede profondamente, di diventare madre. Lo fanno prima di tutto per le donne, che desiderano essere felici. Quando un uomo accetta di avere un figlio tramite questo mezzo, lo fa perché spera che la sua vita di coppia sia finalmente serena e tranquilla. La donna è pronta anche al fatto che il proprio uomo concepisca con due donne esterne alla coppia, un figlio: questo fa comprendere il carico emotivo che porta con sé la donna che necessita del figlio, passando sopra anche a un “tradimento” del suo uomo. Questo accade perché non ci si vuol rendere conto di quale valore possiedano maternità e paternità: se lo comprendessimo, ne trarrà beneficio la generazione successiva.




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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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