Omotransfobia

La lezione di Fedez: una “brutta storia”

Fedez

Greta, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

di Vito Rizzo, giurista

Dal Concerto del Primo Maggio la “lezione” del rapper Fedez. C’è un sistema che censura, che altera la verità dei fatti, che spinge all’odio e ostacola il confronto. Un metodo che va oltre il DdL Zan ed è di certo una “brutta storia”.

Non è facile ammettere di dover prendere lezioni da una persona che canta per i disoccupati, i discriminati, i rifiutati dalla società e poi spende quasi mille euro per comprare un paio di scarpe prodotte in serie limitata, seicentosessantasei esemplari (sic!), con sangue umano nella suola e simboli satanici disseminati nel design. Poco coerente direte voi, ma è la legge del mercato, dello scoop, dello scandalo, del fenomeno mediatico, e soprattutto dello sponsor, quella Nike che produce le sue scarpe, vendute a centinaia di euro, grazie a sottopagati bambini cambogiani. Peccato che Naomi Klein e il suo “No Logo” abbiano oggi meno impatto mediatico e la giornalista canadese non sia invitata, a differenza del rapper milanese, sui palchi sindacali.

Non è facile ammettere di dover prendere lezioni di rispetto per le ragioni degli omosessuali da una persona che qualche anno fa, dileggiando il coming out di Tiziano Ferro in “Tutto il contrario” cantava (testuale e me ne scuso): «Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing. Ora so che ha mangiato più wurstel che crauti. Si era presentato in modo strano con Cristicchi: “Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?”». 

Dicevo, non è facile ammettere di dover prendere lezioni da uno così, eppure Federico Leonardo Lucia, meglio conosciuto come Fedez, ha mostrato di mettere in scacco chi in RAI è lautamente pagato come esperto di comunicazione. È riuscito infatti a montare un caso di censura dietro le ingenue pretese da parte dei dirigenti RAI del rispetto del politically correct (“il sistema”) nell’omettere i nomi di esponenti politici nel suo intervento dal Palco del Primo Maggio e di non salire sul palco con loghi pubblicitari. Non la sostanza ma la forma. Tutto qui.

È stato geniale, abile, scaltro… Chapeau! A chi sarebbe venuto in mente di farsi registrare mentre riceveva la telefonata dei vertici RAI, messi in imbarazzo dall’autorevolezza assertiva del suo farsi paladino dei diritti civili? Forse mi sbaglio, forse Fedez sta realizzando un docu-film sulla sua vita e quindi è costretto a vivere anche in casa con una telecamera sempre accesa che ne immortali la quotidianità, da quando si alza a quando va al bagno, da quando porta a spasso il cane a quando riceve le telefonate dai dirigenti RAI… O forse no, e la telecamera l’ha accesa alla bisogna. 

Dopo il pezzo cantato, un monologo politico, in cui con nomi e cognomi denuncia l’atteggiamento omofobo assunto da rappresentanti di un partito politico particolarmente incline ai linguaggi sgraziati e a temi divisivi. E giù nomi e cognomi di alcuni esponenti della Lega che negli ultimi anni hanno espresso “opinioni omofobe”: «“Se avessi un figlio gay, lo brucerei nel forno” Giovanni De Paoli consigliere regionale Lega Liguria; “I gay? Che inizino a comportarsi come tutte le persone normali” Alessandro Rinaldi consigliere per la Lega Reggio Emilia; “Gay vittime di aberrazioni della natura” Luca Lepore e Massimiliano Bastoni consiglieri comunali leghisti; “i gay sono una sciagura per la riproduzione e la conservazione della specie” Alberto Zelger consigliere comunale della Lega Nord a Verona; “Il matrimonio gay porta all’estinzione della razza“ Stella Khorosheva candidata leghista; “fanno iniezioni ai bambini per farli diventare gay” candidata della Lega Giuliana Livigni».

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Il tutto per spiegare la necessità dell’approvazione rapida del DdL Zan. Ma è qui che i conti non tornano. Frasi di tenore diverso, di gravità diversa, messe in fila una dietro l’altra per dare la percezione di una emergenza sociale e di una matrice omofoba comune. Le affermazioni fatte dagli esponenti politici da lui citati sono già perseguibili ai sensi del Codice penale, con l’aggravante dei “motivi abietti o futili”. 

Nel dettaglio: violazione dell’art.414 c.p. “Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione: 1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; […] Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”. Ai cinque anni del massimo edittale si applica l’aggravante dell’art.61 c.p. “Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali, le circostanze seguenti: 1) l’avere agito per motivi abietti o futili […]”. Nessun dubbio sul fatto che l’omofobia sia un motivo abietto. Quindi la pena è aumentata fino a un terzo. Da cinque anni a 6 anni e 8 mesi. Non poco, direi. Affermare “Se avessi un figlio gay, lo brucerei nel forno” è già oggi reato! Qualche dubbio rimane, in verità, sulla perseguibilità penale delle frasi “i gay sono una sciagura per la riproduzione e la conservazione della specie” e “Il matrimonio gay porta all’estinzione della razza” in quanto, sebbene in maniera alquanto rozza, richiamano un principio biologico: la diversità sessuale quale presupposto generativo dell’essere umano. I toni trasudano omofobia ma tali opinioni, a detta dei sostenitori del DdL Zan, non dovrebbero nemmeno essere perseguibili alla luce del nuovo testo di cui si caldeggia l’approvazione in quanto lo stesso salvaguarderebbe la libertà di opinione. Mi chiedo, chiedo ad Alessandro (Zan) e vi chiedo: è così o non è così?

L’altra affermazione “fanno iniezioni ai bambini per farli diventare gay” è palesemente falsa e rientra nel reato di diffamazione ai sensi dell’art.595 c.p. che nel caso richiamato è punito con una pena fino a tre anni. Come pure affermare che i Gay sono “vittime di aberrazioni della natura”.

Il brillante intervento di Fedez ha portato il pubblico a ritenere queste condotte non perseguibili ad oggi nel nostro ordinamento, di qui la necessità di una rapida approvazione del DdL Zan. Gli va dato atto che far apparire vero qualcosa di falso, mettere in fila una serie di affermazioni in grado di produrre una legittima reazione emotiva è tipico dell’ars retorica. Sei frasi in due o tre anni. Una orrenda, due sgraziate e tre opinabili. Una vera emergenza! Lui ci è riuscito e tanti, in assoluta buonafede, continuano a cascarci.

A lui resta lo scettro di paladino dei diritti (sic!) e, nell’apologia della menzogna, un omaggio fedele all’ispiratore delle sue nuove scarpe… 

Caro Federico, io che nella quotidianità mi batto sempre per la verità e per la difesa della dignità di ogni persona, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, mi sento ferito dal tuo uso strumentale di temi così delicati. Di ferite umane e sociali che sanguinano, sì, e proprio per questo andrebbero trattate e curate con garbo, delicatezza, lucidità, onestà, fiducia. Tutte doti che nel tuo modo “falsamente amico” mancano di certo. Lo scontro non aiuta il confronto. Non c’è uno schieramento per cui tifare in contrasto feroce ad un altro. Essere contro questo DdL Zan non significa essere omofobo. Io non mi lascio censurare dal “sistema” di cui ti sei fatto paladino, da imbonitore di fiera e non da novello Martin Luther King. Chiedere attenzione ai parlamentari nell’approvare un testo di legge scritto male è un dovere non solo giuridico ma anche etico. Non farlo e fomentare l’odio divisivo fa male a tutti, a chi merita tutela e a chi deve essere educato a superare la propria paura aggressiva nel confronto con l’alterità. L’unica ad averci guadagnato in questa storia è la ditta Ferragnez, i loro profili social continuano a fare tendenza e gli sponsor, Nike su tutti, saranno pronti a pagare lautamente le prossime performance. Caro Federico, per ragioni diverse ma condivido con te: che brutta storia!




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