CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Madre e figlio e la raffinata menzogna della legge 194…

24 Maggio 2021

gravidanza

Madre e figlio sono due parole essenziali, eppure non sono presenti nel testo della legge 194. Sono state sostituite da donna e concepito. Forse perché l’intenzione è quella di garantire alla madre la possibilità di sopprimere il proprio figlio?

Madre e figlio sono due parole che strutturano l’esistenza, due vocaboli in stretta correlazione di cui non possiamo fare a meno. Mamma evoca sentimenti difficili da esprimere. Anni fa ho letto questa testimonianza: “Ho 60 anni e due figli, di 20 e 23 anni, quando mi chiamano mamma io sento ancora dentro di me una sensazione infinita: è come un regalo che ogni volta mi riempie di stupore”. Anche la parola figlio è carica di significato: tutti veniamo al mondo come figli, tutti abbiamo un padre e una madre. Essere figli non è una fase della vita ma la condizione stessa dell’esistenza, appartiene al nostro codice genetico.

Madre e figlio sono vocaboli che non trovate nella legge 194/78, quella che ha legalizzato l’aborto. Una legge che presenta un titolo accattivante e luminoso: “Tutela sociale della maternità”. Una raffinata menzogna perché l’intenzione che ispira e presiede il documento è quella di garantire alla madre la possibilità di sopprimere il figlio. E difatti, nel testo non c’è alcuna traccia della madre e del figlio. I legislatori hanno pensato che era troppo imbarazzate ed hanno dunque usato i vocaboli donna e concepito. Qualcuno potrà obiettare che in fondo si tratta di un linguaggio giuridico. Personalmente credo che sia solo l’espressione della più scaltra ipocrisia che tenta di nascondere la verità dietro il velo delle parole. 

Madre e figlio sono l’espressione più immediata di quel mistero che accompagna tutta la storia umana. Anche se la scienza spiega o pretende di spiegare ogni cosa, la generazione di un essere umano è uno dei capitoli più affascinanti e carichi di mistero dell’universo. Anzi sono proprio le conoscenze scientifiche, se vengono veicolate con rigore e onestà intellettuale, ad accrescere lo stupore dinanzi a questo evento. “Poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a lui”, ha detto saggiamente uno scienziato.

Leggi anche: “Il concepito è un essere umano!”, le grandi lacune della 194

La parola figlio può e deve essere declinata secondo due accezioni diverse e complementari. La coscienza di essere figli è molto consolante, ricorda che abbiamo un padre e una madre che ci hanno desiderato, accolto, accompagnato. È bello sapere che qualcuno si è preso cura di noi. La consapevolezza di avere un figlio, invece, ci carica di responsabilità e ci obbliga ad imparare l’arte del servizio. Un ministero difficile da esercitare perché chiede ai genitori di dimenticare se stessi, secondo quello stile che Madre Teresa ha testimoniato e insegnato:

Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo; quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare; quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro; quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento. […] Quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia; quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi; quando penso solo a me stessa, attira la mia attenzione su un’altra persona”.

Avere figli significa non poter mai stare tranquilli, occorre continuamente rinnegare se stessi, mettere da parte le proprie esigenze, anche quelle più legittime. I figli hanno sempre la precedenza. Se viene vissuta con responsabilità, la genitorialità rappresenta un quotidiano esercizio di santificazione. Per questo auguro agli sposi di accogliere molti figli. Se un figlio aiuta a santificarsi, tanti figli…

Ogni figlio è unico, i genitori devono imparare a guardarlo come se fosse un figlio unico, anche se ce ne sono altri. Un figlio è sempre unico e irripetibile. Anche l’amore dei genitori deve essere unico, non è ripetizione di gesti e parole ma uno sguardo che si posa su ciascuno e si misura con le esigenze che ciascuno porta nel cuore e nella carne. Non è facile, me ne rendo conto, ma è bene ricordare che non è solo uno degli ingredienti ma la premessa indispensabile per svolgere correttamente l’opera educativa. I genitori devono esercitare la fatica di rapportarsi al figlio come persona unica e irripetibile, come se non ce ne fossero altre. E per ciascuno chiedere al Padre celeste di donare lo Spirito di discernimento per saper dire le parole giuste, quelle che danno forma ai suoi desideri e gli permettono di camminare nelle vie di Dio. 

La Vergine Maria, che oggi celebriamo come Madre della Chiesa, c’insegna che la maternità s’impara ai piedi della croce, cioè accettando la fatica e la sofferenza. Se manca questa interiore disponibilità l’orizzonte della vita diventa ancora più oscuro. Un figlio, infatti, deve essere continuamente generato e ogni volta occorre sentire i dolori del parto. È facile seguire le mode, lasciarsi portare dalla corrente, misurare la vita secondo i canoni estetici imposti dalla cultura mondana. Chi invece cerca di sottrarsi ai diktat del potere mediatico per proporre una verità diversa e più grande, deve accettare una sofferenza supplementare a quella già insita nell’opera educativa ordinaria. In questa crocifissa fedeltà risplende la fede. 

Quando la via diventa più ripida, e ci accorgiamo che sono pochi i compagni di viaggio, abbiamo la certezza che stiamo camminando sulla strada buona. Quella che Dio ha tracciato per noi. Ai genitori giovani e meno giovani auguro di fare della fede la luce che ispira e orienta il loro ministero educativo. Siatene certi, lo Spirito Santo, che abbiamo invocato e accolto, non mancherà di fare la sua parte.




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