Sposi

di Assunta Scialdone

Il Matrimonio rende gli sposi tabernacolo vivente

29 Giugno 2021

Cristo è vivo e presente nell’amore degli sposi, anche quando questi vivono momenti difficili, di litigio e di imperfezione. Ecco la grande novità contenuta nel capitolo nono di Amoris Laetitia.

Quando nel 2016 fu pubblicata l’esortazione Apostolica Amoris Laetitia tutti si concentrarono sulla lettura “selvaggia” del capitolo ottavo che sembrava contenesse una nuova rivelazione di Dio. I media sfruttarono molto la situazione mettendo in risalto, falsamente con la modalità “dico e non dico”, l’esistenza di due fazioni all’interno della Chiesa: i progressisti estremi e gli ultra conservatori. Entrambi oscuravano il Vangelo e l’opera del Santo Padre. I cosiddetti “progressisti estremi” cercavano di porre sulle labbra del Papa affermazioni inesistenti riguardanti la totale ammissione dei separati o divorziati con nuova unione ai sacramenti, intaccando l’indissolubilità del sacramento del Matrimonio riducendolo ad una semplice unione naturale priva della dignità di sacramento e della grazia che da esso scaturisce. Gli “ultra conservatori” dipingevano il Papa come un “eretico blasfemo” che rinnegava tutta la tradizione Apostolica. Col senno di poi possiamo affermare che furono anni di grande confusione perché, la maggior parte dei cronisti era accecata dal capitolo ottavo che oscurava la vera novità di questo Documento. A volte ho pensato che, forse, si è un po’ “voluta” questa confusione, per far passare, sotto traccia, la grandiosa novità racchiusa nel capitolo nono senza avere oppositori. 

Oggi tutti sappiamo che il Papa è in piena sintonia con il magistero dei suoi predecessori e che a riguardo delle nuove unioni invita la Chiesa tutta all’accoglienza e ad un discernimento caso per caso. La vera novità di Amoris Laetitia, dunque, è racchiusa nell’ultimo capitolo, purtroppo, letto da pochissime persone. Meno ancora sono coloro che hanno categorie per leggerlo bene. Questo capitolo si presenta come un prolungamento ed un perfezionamento dei pronunciamenti di san Paolo VI e san Giovanni Paolo II. Paolo VI, in molti documenti e pronunciamenti dedicati alla famiglia, parla della vita degli sposi come “un’ascesi coniugale”. Il matrimonio sacramento è considerato come una via che innalza gli sposi a Dio, alla Sua contemplazione. In Humane Vitae, 21 si legge: «Il dominio dell’istinto, mediante la ragione e la libera volontà, impone indubbiamente una ascesi affinché le manifestazioni affettive della vita coniugale siano secondo il retto ordine e in particolare per l’osservanza della continenza periodica. Ma questa disciplina propria della purezza degli sposi, ben lungi dal nuocere all’amore coniugale, gli conferisce invece un più alto valore umano. Esige un continuo sforzo (chiamato ascesi), ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la loro personalità arricchendosi di valori spirituali. Essa (…) favorisce l’attenzione verso l’altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l’egoismo, nemico del vero amore, ed approfondisce il loro senso di responsabilità (…)».

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All’epoca questa affermazione destò non poche critiche perché il matrimonio era considerato dai molti una via “mediocre” per giungere alla santità. Lo “sforzo ascetico” veniva richiesto a monaci, monache, presbiteri, i soli ritenuti capaci di tale contemplazione. Gli sposi, poverini, erano considerati immersi nel mondo materiale e nella concupiscenza e quindi non capaci di tale unione con Dio. La considerazione del matrimonio come stato di non perfezione era anche un retaggio del manicheismo. Il manicheismo, riassumendolo grossolanamente in poche parole, affermava che si può ottenere la salvezza solo con la gnosi (conoscenza). Il mito manicheo è l’anima decaduta e prigioniera del corpo: la materia, è liberata solo dalla conoscenza. La materia è tutto ciò che è malvagio e concupiscente. Poiché la materia si esprime attraverso la concupiscenza, il peccato capitale sta nell’unione sessuale, che è brutalità e bestialità che fa degli uomini gli strumenti e i complici del male per la procreazione. Gli eletti sono i perfetti coloro, cioè, che realizzano l’ascesi attraverso tre sigilli: il sigillo della bocca che proibisce ogni bestemmia, l’astensione dalle carni, comanda il digiuno. Il sigillo delle mani comanda il rispetto della vita racchiusa nei corpi, nei semi, negli alberi. Il sigillo del grembo prescrive una totale continenza (Cf, Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, catechesi sull’amore umano, 185).

Giovanni Paolo II, per rafforzare il pensiero “rivoluzionario” di Paolo VI e combattere ulteriormente il pensiero manicheo, ancora presente in forma latente, ha donato un’ampia riflessione, sconosciuta ai molti, a riguardo della comprensione del corpo come cosa “molto buona” e dono di Dio. Se l’uomo storico non fa propria tale comprensione risulta a dir poco assurdo parlare di continenza coniugale e di ascesi presente all’interno del rapporto di coppia. Assurdo perché non in linea con tutto ciò che la società ci propone (tutto e subito; soddisfazione totale dei sensi; il corpo oggetto per sfruttare gli altri, il diritto alla felicità). Tale difficoltà di comprensione del corpo è presente, ancora oggi, non solo nei laici, sposati e non, ma, a volte, anche nei presbiteri e religiosi che non riescono ad individuare la dignità enorme del corpo e continuano a considerare il matrimonio come una sorta di rimedio alla concupiscenza cioè l’esatto contrario di quanto proposto da Cristo nel Vangelo. Tale visione distorta produce nel cuore di molti laici l’allontanamento dalla Chiesa perché si sentono caricati di ulteriori fardelli che non riescono a portare perché nessuno ha spiegato loro la bellezza del matrimonio e soprattutto la bellezza della teologia del corpo. Non dobbiamo mai dimenticare che l’uomo è composto di corpo, anima e spirito, tre qualità essenziali. La non comprensione di ciò conduce l’uomo a vivere una vita infelice e insoddisfatta, curva sotto il peso della concupiscenza del cuore che impedisce la ricomprensione di se stesso e quindi la consapevolezza della propria vita.

Dalla teologia del corpo, Giovanni Paolo II iniziò a parlare di una spiritualità coniugale e familiare propria degli sposi cristiani. Una spiritualità che avesse come base comune a tutti gli sposi tre vie: la preghiera di coppia, la celebrazione del sacramento della riconciliazione come una sola carne e il nutrirsi al banchetto Eucaristico come coppia e famiglia. D’altronde il primo gesto comune compiuto dagli sposi dopo il consenso è quello di accostarsi alla mensa Eucaristica come una sola carne per ricevere la prima “comunione del Noi coniugale” che abilita gli sposi a vivere la loro vocazione con il cuore rivolto perennemente a Dio. Attraverso queste tre vie e l’apertura alla missionarietà i coniugi operano un avvicinamento a Dio.

Dall’ascesi coniugale si passa alla spiritualità coniugale e familiare per arrivare con papa Francesco, nel capitolo nono, alla Mistica coniugale. L’apertura del capitolo nono fa già assaporare la novità azzerando ogni discrepanza tra il sacramento del matrimonio e dell’ordine. Al numero 313 di Amoris Laetitia si legge: «La carità assume diverse sfumature, a seconda dello stato di vita a cui ciascuno è stato chiamato. Già alcuni decenni fa, il Concilio Vaticano II, a proposito dell’apostolato dei laici, metteva in risalto la spiritualità che scaturisce dalla vita familiare. Affermava che la spiritualità dei laici «deve assumere una sua fisionomia particolare» anche dallo «stato del matrimonio e della famiglia» (Apostolicam atuositatem, 4) e che le preoccupazioni familiari non devono essere qualcosa di estraneo al loro stile di vita spirituale». Ogni vocazione, dunque, riceve un proprio dono da Dio che abilita a vivere l’amore oblativo manifestatosi sulla croce. L’amore oblativo, come dono di se stessi, assume diverse sfumature a seconda della vocazione a cui si è stati chiamati. Quindi non esiste una via migliore dell’altra che conduce alla santità piena, ma esiste un’unica via d’amore che si divide in due strade secondo i due sacramenti della missione: ordine e matrimonio, che traducono in forme diverse lo stesso amore oblativo. Papa Francesco, riprendendo Giovanni Paolo II, afferma che il matrimonio è uno stato di vita, cioè uno stato di perfezione che non risulta più essere appannaggio solo per chi fa voto di povertà, castità, e obbedienza.

“Abbiamo sempre parlato della inabitazione di Dio nel cuore della persona che vive nella sua grazia. Oggi possiamo dire anche che la Trinità è presente nel tempio della comunione matrimoniale. Così come abita nelle lodi del suo popolo (cfr Sal 22,4), vive intimamente nell’amore coniugale che le dà gloria” (Al, 314). Papa Francesco afferma in Al 315 che la presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze, lotte, gioie e i suoi propositi quotidiani. Cristo fa suo il nostro quotidiano pieno di limiti. Da ciò scaturisce una spiritualità dell’amore familiare che è fatta di migliaia di gesti reali e concreti che fanno maturare la comunione tra i membri della famiglia e Dio. Sono gesti quotidiani e semplici come accogliere e prendersi cura dei più piccoli e deboli presenti nel proprio nucleo familiare. Tutto ciò fa sì che i valori umani e divini si mescolano “divinizzando” il quotidiano, permettendo a Dio di stabilire la propria dimora in mezzo ai coniugi. In definitiva, la spiritualità matrimoniale è una “spiritualità del vincolo abitato dall’amore divino unico ed indissolubile”. Il sacramento del matrimonio rende gli sposi dei veri tabernacoli viventi che custodiscono e donano agli altri Cristo vivo. Cristo resta presente nella coppia, anche quando questa vive momenti difficili, di litigio e di imperfezione. Il Papa afferma che una comunione familiare vissuta bene è un vero cammino di santificazione nella vita ordinaria e di crescita mistica, un mezzo per l’unione intima con Dio. La spiritualità coniugale è una spiritualità incarnata, concreta e non astratta, aleatoria avendo il suo fondamento nel sacramento del matrimonio. Pertanto, coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica (Cf. Al, 316).

Papa Francesco sa bene che il cammino della mistica non è proprio semplice da realizzare specialmente se si è immersi, come gli sposi, nel mondo. Al numero 317 il Santo Padre cerca di dare delle coordinate affinché i coniugi possano progredire nell’unione con Cristo. «Se la famiglia riesce a concentrarsi in Cristo, Egli unifica e illumina tutta la vita familiare. I dolori e i problemi si sperimentano in comunione con la Croce del Signore, e l’abbraccio con Lui permette di sopportare i momenti peggiori. Nei giorni amari della famiglia c’è una unione con Gesù abbandonato che può evitare una rottura». Come Cristo, nell’orto degli ulivi non ha rinnegato la sua missione, non ha operato una rottura con il Padre decidendo di andare avanti fino a sudare sangue, allo stesso modo i coniugi sono chiamati a resistere nei momenti difficili della loro vita senza operare una rottura dell’una sola carne. Sono chiamati ad affrontare la sofferenza e, con la grazia sacramentale, morire un po’ a se stessi e trasformarla in una perla luminosa che dona agli sposi una spinta maggiore all’unione con Dio e tra loro. Questo insegnamento nella società attuale, dove viene veicolato il diritto ad essere felici a tutti i costi bandendo ogni forma di amarezza, risulta essere incomprensibile e obsoleto. L’essenziale, invece, si trova proprio in questo restare nella sofferenza e cercare di ascoltare la voce di Dio. Con questo non significa che dobbiamo ricercare la sofferenza, ma quando questa arriva, va accolta e sublimata in modo che «con la grazia dello Spirito Santo, la loro santità attraverso la vita matrimoniale, partecipando al mistero della croce di Cristo, trasformi le difficoltà e le sofferenze in offerta d’amore». D’altra parte, i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione. I coniugi danno forma con vari gesti quotidiani a questo «spazio teologale in cui si può sperimentare la presenza mistica del Signore risorto» (Al, 317).

La novità racchiusa nel capitolo nono apre la strada alla lettura e consegna dei testi mistici agli sposi. San Giovanni della Croce in Salita al monte Carmelo prendendo in esame la vicenda di una coppia di sposi, Sara e Tobia, indica il percorso mistico che conduce al matrimonio mistico con Dio. Egli parla di tre notti: la prima notte è quella dei sensi. L’arcangelo Raffaele chiede a Tobia di bruciare il cuore del pesce simbolo di quello umano. La notte dei sensi in una società come la nostra, nella quale risuona l’invito imperante a godere di tutto sembra essere una richiesta contro natura. Essa, invece, risulta essere un cammino che, ponendo ordine ed equilibrio nell’intimo dell’uomo, conduce a Dio.

Sara e Tobia, nella loro prima notte di nozze, decidono di porsi in ginocchio davanti a Dio offrendo, attraverso il sacrificio dell’astinenza, la loro vita coniugale. Attraverso questa offerta gli sposi raggiungono un equilibrio interiore, esplicitato da Lewis all’interno della sua opera dal titolo “i quattro amori”: affetto, amicizia, eros e carità scombussolati dal peccato originale. Tobia e Sara attraverso la notte dei sensi trasformano l’erotismo scaturito dalla colpa originale in eros puro creato da Dio nel principio. La coppia prega YHWH con questa preghiera: «Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri, (…) Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a lui. Ora non per lussuria (erotismo) io prendo questa mia parente, ma con rettitudine d’intenzione (eros). Degnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia». E dissero insieme: «Amen, amen!» (Tobia, 8, 5- 8). Attraverso la consegna di sé gli sposi vengono liberati dal demone Asmodeo, che avrebbe portato alla morte spirituale quella unione.

La seconda notte riguarda l’intelletto. Tobia sarebbe stato annoverato tra i santi Patriarchi se avesse purificato l’intelletto. S. Giovanni della Croce afferma che l’intelletto è oscuro come la notte, in quanto non ha la luce per comprendere pienamente Dio. Dio resta sempre irraggiungibile. Se l’intelletto si sforzasse di arrivare a Dio non vi riuscirebbe e piomberebbe in una notte oscura. La purificazione consiste nel renderlo una tabula rasa azzerando tutti i pensieri umani così da permettere a Dio di scrivere “righe” luminose. La purificazione dell’intelletto azzera tutti i preconcetti che si possano avere su chi ci è di fronte. Tobia, infatti, ama Sara senza imprigionarla nella concezione di “colei che uccide i mariti”. Occorre che la coppia si affidi esclusivamente a Dio consegnando tutto quello che si è, bruciando tutte le proprie certezze. Questa seconda tappa chiede di fare un salto nel vuoto fidandosi di Dio, d’altronde è proprio questo che viene chiesto ai coniugi nel sacramento del matrimonio.

La terza notte consiste nella purificazione di memoria e volontà. Attraverso la terza notte si giunge all’ermeneutica del dono che consiste nell’amare come Cristo ha amato sulla croce e all’avvicinarsi sempre più all’unione mistica. Questa notte trasforma il sentimento dei due coniugi in amore vero e totale per l’altro perché in esso si intravede il Mistero: Dio. Purificare la memoria e la volontà significa fare spazio all’altro dentro di sé per diventare un Noi: in questo modo, i coniugi, possono ritornare a quell’unità primordiale che sussisteva in Eden prima della disobbedienza. L’amore di due coniugi non è ipso facto puro. L’anima dei due e la loro relazione deve attraversare le tre notti per diventare amore oblativo e sperimentare quell’ermeneutica del dono iscritta nel loro essere “maschio e femmina” ad immagine della Trinità. L’amore coniugale in questo caso sarà purificato. In questo modo i coniugi riusciranno a vivere e sostenere tutte le difficoltà.

Dopo le tre notti (sensi, intelletto, memoria e volontà) avendo il desiderio di compiere solo ciò che è gradito a Dio, a questo livello, l’anima, l’una sola carne, è trepidante, vuole trasformarsi totalmente nell’Amato. «Rompi la tela a questo dolce incontro», si legge al termine della prima strofa di Fiamma viva. Si tratta di una tela che impedisce l’unione mistico – sponsale tra l’anima e Dio. Dio invade la creatura del suo amore e la “divinizza” dandole la certezza del perdono dei peccati. In questo modo gli sposi giungono a «gustare la soavità del vino di amore nella sostanza, già fermentato e posato dentro l’anima» (Giovanni della Croce, Cantico spirituale B, XXV, 11- Al, 231). Questo suppone l’essere stati capaci di superare uniti le crisi e i tempi di angoscia, senza sfuggire dalle sfide e senza nascondere le difficoltà.




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