Il Vangelo letto in famiglia

XVI Domenica del tempo ordinario – Anno B – 18 luglio 2021

Vacanze: l’unico vero riposo è in Dio

Il tempo del riposo è il vero tempo originario, dove, ancora una volta, il riposo consiste nello stare insieme a Dio, nella nostra vicinanza a Lui. Dobbiamo riscoprire, quindi, anche questa dimensione: la nostra vita non è fatta per soffrire, per lavorare. La nostra vita è fatta per stare sereni al cospetto di Dio.

Dal Vangelo secondo Marco Marco (6,30-34)
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

IL COMMENTO

di don Gianluca Coppola

Siamo giunti alla sedicesima domenica del Tempo Ordinario: ormai l’estate avanza e sentiamo nel cuore, inevitabilmente, la stanchezza di un anno di lavoro, di un anno di relazioni sociali, di un anno in cui abbiamo vissuto appieno la vita familiare insieme a quegli impegni che hanno richiesto tutte le nostre forze fisiche e la nostra attenzione. E, perché no, magari sentiamo anche tutta la stanchezza di un intero anno pastorale. Sembra proprio che la Provvidenza ci venga in aiuto in questo momento di affaticamento, perché Gesù, nel passo del Vangelo di questa domenica, invita gli Apostoli a un tempo di riposo.

Gli Apostoli, difatti, si riuniscono attorno a Gesù: sono appena tornati da un intenso periodo dedicato interamente all’evangelizzazione, compito bellissimo ma allo stesso tempo estremamente faticoso, non soltanto sul piano fisico, ma anche dal punto di vista del combattimento spirituale. Tale compito, in realtà, è il primo che viene affidato ai pastori della Chiesa, così come riporta il Catechismo della Chiesa Cattolica, che al numero 888 recita proprio così: «i Vescovi con i presbiteri, loro cooperatori hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio, secondo il comando del Signore. Essi sono gli araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli, sono i dottori autentici della fede apostolica, rivestiti dell’autorità di Cristo». Questa “autorità di Cristo” si manifesta in primis attraverso la predicazione. Al giorno d’oggi, sembra esserci una sorta di reticenza nei confronti della predicazione, tant’è che il sostantivo “predica” viene spesso usato con accezione negativa: “fare una predica” è ormai sinonimo di voler fare una ramanzina, talvolta addirittura imponendo la propria superiorità sull’altro. Ma la predicazione è, prima di ogni altra cosa, annuncio del Vangelo ed essa rappresenta il compito precipuo dei pastori della Chiesa, perché solo attraverso la Parola si veicola il messaggio della salvezza.

Dio stesso crea il mondo attraverso la Parola: è Il Verbo di Dio a farsi carne. È da qui che parte tutta la vita cristiana, dalla Parola che, veicolata prima dalla voce e dalla testimonianza degli Apostoli, viene trasmessa poi ad ogni popolo mediante i pastori della Chiesa. Dovremmo, quindi, recuperare l’amore verso l’annuncio del Vangelo, non solo tra i consacrati, i sacerdoti e i Vescovi, ma anche in ambito laicale. Il Concilio Vaticano II ci insegna a valorizzare il laicato e a viverlo anche come luogo di annuncio.

Gli Apostoli, tornati da Gesù, si sentono galvanizzati, orgogliosi ed euforici per tutto il bene che avevano fatto. Erano sicuramente anche molto stanchi, infatti il Vangelo sottolinea che non avevano avuto neanche il tempo di mangiare, dal momento che erano continuamente pressati dalla ressa di gente che accorreva per ricevere la Parola e per assistere ai prodigi che lo Spirito Santo operava attraverso di loro. All’euforia degli Apostoli che non vedono l’ora di raccontargli le loro imprese, Gesù risponde con un’espressione bellissima, ma soprattutto estremamente umana: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». In queste parole, non soltanto sentiamo tutta la tenerezza di Gesù, la sua fraternità, la sua paternità, ma in modo particolare percepiamo la sua umanità e ci accorgiamo di come, attraverso di essa, Gesù comprenda anche tutti i nostri bisogni umani.

Inoltre, oserei definire queste parole quasi profetiche, e la profezia che esse racchiudono è quella che ravvisiamo anche nell’episodio di Marta e Maria, perché attraverso le parole di Gesù capiamo che la vera evangelizzazione nasce in realtà dal riposo in Cristo. Attenzione, però: il riposo in Cristo non è il bivacco, non è inteso come una vacanza. Il Salmo 62 ci aiuta a capire in cosa consiste tale riposo: «Solo in Dio riposa l’anima mia». Solo nella preghiera può riposare la nostra anima, solo lì è al sicuro, nel luogo in cui non soltanto Dio ci dona riposo, ma ci istruisce anche personalmente.

Dalle parole profetiche di Gesù possiamo ricavare un altro insegnamento fondamentale, ovvero quello secondo cui in tutti i campi umani, e ciò vale quindi anche per la Chiesa, non ci si deve fregiare in modo eccessivo dei propri successi. È importante, nonché giusto, saperli riconoscere, ma non dobbiamo in alcun modo basare la nostra gioia su di essi. Questo atteggiamento, anche nella Chiesa, provoca forti depressioni, perché spesso siamo alla ricerca di soddisfazione meramente umana, rincorriamo l’approvazione e il riconoscimento altrui, desideriamo che qualcuno si congratuli con noi, vogliamo che la gente delle nostre parrocchie ci osanni, ci dia credito per quanto abbiamo fatto. E ciò non vale soltanto per i sacerdoti, ma si verifica anche in ambito laicale: i catechisti e le catechiste, gli operatori pastorali spesso cercano il vanto, il prestigio, non capendo che non è nei riconoscimenti altrui che risiede la vera gioia. La via della vera consolazione sta nel cuore di Dio, nel riposo di cui parla Gesù: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’».

Ed è da questo riposo che riparte la missione: quando gli Apostoli si allontanano per seguire il consiglio di Gesù, le persone se ne accorgono e li cercano, li raggiungono, li precedono con le barche. Di nuovo, Gesù ha compassione di loro perché «erano come pecore senza pastore», e dunque comincia a insegnare loro molte cose. Il dinamismo della missione, allora, consiste proprio in questo, e dal passo del Vangelo capiamo come muoverci, come essere in grado di evangelizzare. Per prima cosa, è necessario trascorrere del tempo con Gesù: se vogliamo che la nostra missione sia realmente efficace e che essa sia fonte di vera salvezza, dobbiamo dedicare del tempo alla preghiera, e soltanto dopo, in un secondo momento, possiamo partire per la missione.

E poi, ancora una volta, bisogna ritornare a Gesù e rimettersi di nuovo in preghiera. Infatti, un’altra fonte di tristezza che può compromettere l’evangelizzazione è imprimere alla missione il nostro carattere. Mi spiego meglio: quante volte diamo vita a tanti progetti nelle parrocchie, desideriamo che le nostre comunità siano secondo l’idea che abbiamo costruito nella mente, e in realtà dimentichiamo che solo lo Spirito stabilisce le modalità, perché è Cristo stesso a scegliere. Nel Vangelo accade proprio questo: quando la folla li raggiunge, non sono gli Apostoli a riprendere la predicazione. È Gesù ad avere compassione di loro, è Lui che insegna loro molte cose. Ed è questo che dobbiamo comprendere: soltanto Gesù può imporre la linea da seguire. Tante nostre frustrazioni scaturiscono spesso dal fatto che non rispettiamo questo dinamismo, ci facciamo ideatori di progetti che non devono portare la nostra paternità, ma la paternità di Dio.

Tutto comincia, e riparte, dal riposo in Dio. Tra poco, parecchi avranno la possibilità di andare in vacanza: è fondamentale riscoprire la bellezza e l’importanza della preghiera, anche e soprattutto nei tempi di vacanza. A volte, riteniamo che, insieme al corpo, vada in vacanza anche lo spirito, con il risultato che torniamo più stanchi di prima. E invece, dobbiamo riscoprire l’importanza della preghiera, dobbiamo riscoprire che l’unico, vero riposo è in Gesù. Dobbiamo riscoprire, e riconoscere, che, in realtà, noi siamo stati creati per questo riposo, non per il lavoro. Lo apprendiamo anche dal passo biblico della Creazione, in Genesi, in cui l’uomo e la donna ricevono da Dio la facoltà, o meglio il comando, di lavorare, dopo il peccato. Dunque, il tempo del lavoro, della fatica e della sofferenza è in realtà conseguenza del peccato, non è il tempo privilegiato. Il tempo del riposo è il vero tempo originario, dove, ancora una volta, il riposo consiste nello stare insieme a Dio, nella nostra vicinanza a Lui. Dobbiamo riscoprire, quindi, anche questa dimensione: la nostra vita non è fatta per soffrire, per lavorare. La nostra vita è fatta per stare sereni al cospetto di Dio.

Questo passo, infine, ci insegna anche a ricalcolare i nostri percorsi. Spesso viviamo per il lavoro, viviamo per il raggiungimento di soddisfazioni umane, viviamo accumulando le esperienze più disparate, dimenticando che in realtà la vita raggiunge la sua vera pienezza quando decidiamo di trascorrere il tempo a nostra disposizione per vivere nella gioia di Dio, per affidarci al Signore, per far sì che la sofferenza, il lavoro e i risultati umani siano solo parentesi tra le innumerevoli gioie vissute in Cristo.


Gianluca Coppola (1982). È presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Per scrivere a don Gianluca: giancop82@hotmail.com



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