CORRISPONDENZA FAMILIARE

La sofferenza dei bambini? Non basta versare lacrime…

20 Settembre 2021

teddy bear

Troppi bambini sono privi del calore di una famiglia. Malgrado l’impegno e le iniziative che vengono messe in atto, basta un rapido sguardo alle condizioni sociali per dire che un numero elevatissimo di minori manca delle condizioni essenziali per una vita dignitosa. Da dove ripartire?

I bambini suscitano tenerezza, chi non si commuove dinanzi ad un piccolo che soffre? Sono anche l’immagine della debolezza, hanno bisogno di tutto, in primo luogo dell’affetto di una famiglia. Hanno diritto di crescere sotto lo sguardo attento e premuroso dei genitori, hanno bisogno di una mamma e di un papà. La famiglia è un bene inalienabile e insostituibile. Se viene a mancare, ogni altro lavoro educativo risulterà assai più difficile e, in ogni caso, presenterà non poche lacune. Dovrebbe essere uno dei capitoli più urgenti del nostro impegno sociale. E invece, salvo la cronaca morbosa di eventi drammatici che vedono coinvolti i minori, non mi pare che questo disagio sia percepito dalla collettività come un problema indilazionabile. Stando ai mezzi di informazione, altri sono gli argomenti. Non bastavano i cosiddetti diritti civili a offuscare l’orizzonte mediatico, ci mancava solo la pandemia… 

Troppi bambini sono privi del calore di una famiglia. Malgrado l’impegno e le iniziative che vengono messe in atto, basta un rapido sguardo alle condizioni sociali per dire che un numero elevatissimo di minori manca delle condizioni essenziali per una vita dignitosa. Qualche anno fa, nella Celebrazione del Natale, Papa Francesco ricordava che vi sono “bambini che non vengono lasciati nascere, quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame, quelli che non tengono in mano giocattoli, ma armi” (Omelia, 24 dicembre 2016). Possiamo e dobbiamo ricordare anche i bambini che portano il peso della separazione dei loro genitori; o quelli che sono trascurati o maltrattati dagli stessi genitori. Ci sono poi i bambini che muoiono a causa della malnutrizione o di malattie facilmente curabili; altri ancora che subiscono abusi… la lista purtroppo è largamente incompleta. 

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Tutto questo non ci fa stare in pace. Non basta versare qualche lacrima di commozione ed è perfettamente inutile criticare le inadempienze altrui. Abbiamo bisogno di mettere in atto strategie di carità e di condivisione che sono capaci di rispondere al disagio. Rispondere al disagio non vuol dire risolvere il disagio. La storia umana è per sua natura imperfetta. La perfezione non sta nel raggiungere il traguardo ma nel costruire una società in cui risplende la dignità. Non vogliamo vincere lo scudetto ma vogliamo fare la nostra parte per rendere la società un luogo più umano per tutti. 

La parabola evangelica di Lazzaro e del ricco epulone (Luca 16,19-31) è sempre di attualità e mette in luce la nostra inguaribile tendenza a cercare una vita comoda. Il povero Lazzaro, infatti, è l’icona di quella povertà che appartiene al nostro vivere comune, sta alla porta di casa, non ha forza né il coraggio di bussare, è diventata parte del nostro arredamento sociale, non ci facciamo più caso e, se siamo obbligati a guardare, diciamo a noi stessi che non possiamo farci niente, non rientra nelle nostre competenze e nelle nostre capacità. In gran parte è vero ma… non dobbiamo rinunciare a priori. 

Il disagio sociale è fatto di tanti e diversi capitoli e ciascuno richiede una competenza e volontari specificamente preparati. Ma c’è una ministerialità sociale che chiama in causa proprio la famiglia. L’affido dei minori è quel ministero specifico che solo gli sposi possono svolgere. Nessuno può farlo come loro e nessuno più di loro, ogni bambino non ha bisogno di molte cose… ha soltanto bisogno di essere amato e di sentirsi amato. Sulla carta tutte le famiglie possono fare qualcosa, tutte dovrebbero fare qualcosa. Ma non tutte sono disposte ad entrare in campo, la maggior parte resta a guardare, anzi guarda da un’altra parte, riempie la vita di tante altre cose, non tutte utili e strettamente necessarie. 

A scanso di equivoci, è bene aggiungere che non è facile accogliere un minore. Molti sposi, che pure sarebbero disponibili, sono frenati da questi legittimi interrogativi: come aprire le porte di casa se abbiamo già tanti problemi? Come dare spazio ad altri bambini, che portano ferite dolorose nel corpo e nell’anima, se i nostri figli sono fonte di non poche preoccupazioni? E dove trovare il tempo se le nostre energie sono già tutte spese e consumate? Non è corretto minimizzare l’impegno, non basta dire che fare qualcosa è meglio di niente. 

Sono domande e preoccupazioni legittime. La disponibilità sincera e acritica offerta da molte famiglie si rivela insufficiente dinanzi ai problemi e viene facilmente ritirata quando insorgono difficoltà impreviste. Per questo è indispensabile motivare l’affido familiare e preparare adeguatamente coloro che manifestano la disponibilità. Motivare significa ricordare le ragioni che rendono urgente e necessario l’affido, l’inevitabile trauma può essere superato solo da un’eroica carità. Ogni persona accolta porta con sé una storia, sublime e tragica insieme, è un soggetto straordinario e fragile. Spesso siamo dinanzi a bambini che hanno un’ala soltanto e forse non sanno che significa vivere nel contesto di una famiglia che insegna a camminare. Chi è stato privato della famiglia di origine ha diritto a trovare un’altra famiglia e non solo una casa che temporaneamente lo accoglie. Una famiglia vera che ama, accoglie, educa, accompagna. 

L’affido non è un gesto occasionale di carità né può nascere all’improvviso, è una pagina di carità che trova più facilmente spazio nel contesto di un’esperienza familiare che non vive chiusa in se stessa e tutta concentrata sui propri problemi, una famiglia che vive la paternità e la maternità non come un peso ma una benedizione. In queste condizioni è certamente più facile aprire nuovamente le porte della casa per accogliere un altro non come un estraneo ma come un figlio che ha bisogno di ritrovare fiducia in se stesso e nella comunità sociale. 

Inutile dire che l’affido familiare non si fa a costo zero. Richiede tanta generosità e un’autentica disponibilità a farsi dono, mettendo da parte se stessi. Per questo rappresenta per le famiglie una vera e propria sfida. Tanti sposi rinunciano, pensando di non avere le risorse necessarie. E così facendo perdono l’appuntamento con la carità. In fondo, come diceva lo scrittore francese Georges Bernanos, amare significa “donare agli altri ciò che per se stessi non si possiede”.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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