“Per colpire l’umanità basta colpire la donna”

Giusy D'Amico

Foto: profilo Facebook di Giusy D'Amico

Lei è una donna impegnatissima, insegnante, attivista determinata del mondo pro-life e pro-family, ma è soprattutto sposa e madre. Intervista a Giusy D’Amico: “Ho due figli e uno in cielo e ho voluto educarli secondo i valori che hanno scandito e ordinato la mia vita. Sono sposa e nella relazione con mio marito riconosco e apprezzo la diversità tra uomo e donna. Proprio perché sono sposa posso dunque impegnarmi a diffondere la bellezza della diversità”.

Giusy D’Amico sei sposa, madre, insegnante, presidente dell’Associazione “Non si tocca la famiglia” e responsabile della commissione scuola dell’Associazione Family day. Come è nato questo tuo impegno nel mondo pro-life e pro-family?

L’Associazione “Non si tocca la famiglia” nasce nel 2013 a margine di un convegno sulle prime avvisaglie dell’ideologia gender nelle scuole, che entrava nelle aule sotto mentite spoglie come “contrasto alle discriminazioni” o “educazione all’affettività”. Le prime segnalazioni dei genitori di bambini piccoli, parliamo delle materne o elementari che attraversavano una fase molto delicata del loro sviluppo, ci hanno allertati. Volevamo raccogliere il grido di queste famiglie che in qualche modo ci chiedevano di difendere i valori antropologici su cui la famiglia si poggia da sempre. In risposta alla loro richiesta di aiuto abbiamo organizzato questo grande convegno e alla fine alcuni genitori si sono avvicinati e ci hanno chiesto di fare qualcosa per provare a fermare questa ondata che ci avrebbe travolto e di farlo in maniera struttura a e programmatica. 

Hai parlato di valori antropologici da difendere ma tu da dove hai attinto tali valori?

Innanzitutto dalle mie origini, quindi dall’educazione che ho ricevuto in famiglia, poi come educatrice e docente di religione cattolica. Sono sempre stata coinvolta in tematiche educative di questo tipo a contatto diretto con i giovani e con le loro esigenze. La mia preoccupazione più grande è rivolta ai bambini ed è stato quello che ho cercato di urlare anche attraverso i Family day

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La tua immagine pubblica ci presenta una donna molto sicura e determinata, inutile dire che nel campo della vita e della famiglia queste sono doti fondamentali. Come si traduce tutto questo nella tua relazione con i figli?

Io non nasco come leader per pianificare una carriera o per acquisire una posizione sociale. Ho sentito una spinta interiore molto forte a partire dal mio essere madre. Ho due figli e uno in cielo, e ho voluto educarli secondo i valori che hanno scandito e ordinato la mia vita. Sono sposa, perché nella relazione con mio marito riconosco e apprezzo la diversità tra uomo e donna, una complementarietà costitutiva della famiglia. Proprio perché sono sposa posso dunque impegnarmi a diffondere la bellezza della diversità. Una ricchezza umana e antropologica che ideologie come il gender o, se volete, anche il femminismo più estremo e radicale stanno seriamente minacciando, fino a colpire le basi della famiglia stessa che è l’humus della società. Poi sono tutto il resto docente, educatrice, attivista ma nei miei ruoli sociali c’è prima di tutto la sposa e la madre e da questi due primi profili partono e si sviluppano tutti gli altri. 

Mi sembra di capire che pensi alla diversità come a una ricchezza sociale ormai svalutata…

Assolutamente sì! Noi siamo inseriti in contesto culturale che tende a diluire tutto soprattutto le differenze tra uomo e donna. Tutto è possibile. Tutto è il contrario di tutto. Ma la diversità è ricchezza, perché ci permette di guardare il mondo da angolazioni differenti e di rispondere alle svariate esigenze della vita e dell’esistenza. Io sento forte il bisogno di riportare al centro del dibattito mediatico la questione della differenza: non è vero che l’uomo e la donna sono figure uguali e intercambiabili. È vero che sono parimenti importanti, ma questo non vuol dire che siano la stessa cosa. Oggi anche nei provini per i talk show, ad esempio, non c’è più differenza perché ciascuno deve manifestare quello che sente di essere. Questo modo di rapportarsi all’identità di genere e di trattare la disforia di genere non fa che confondere i nostri giovani. Li pone in una incertezza continua.    

Tra i tuoi impegni c’è anche il “Movimento femminile delle donne cristiane”…

Il Movimento nasce da un periodo di malattia in cui non potevo fisicamente spostarmi e che mi ha indotta ad una riflessione un po’ più approfondata su come la donna oggi vive la sua missione più grande che è quella di essere “fabbrica di vita” come disse Carmen Hernandez, co-iniziatrice del Movimento Neocatecumenale. Nel mio periodo di malattia quella frase mi colpì profondamente. La Hernandez sostiene che proprio perché depositaria di una così elevata missione, la donna è spesso tentata ad abbandonare e a tornare indietro. Tende a rifiutare la sua più profonda vocazione. Una tentazione logica se ci rifletti, perché per colpire l’umanità e impedire che nascano bimbi basta colpire la donna. Svuotarla della sua dote più importante, la sua capacità di accogliere, di relazionarsi, di generare e rigenerare. Da qui nasce anche l’aborto. Dopo averle tolto la sua primaria capacità di donare la vita, ecco il secondo passaggio: sganciare la donna dall’uomo, presentandolo come il cattivo. Colui che soffoca la femminilità e che la sfrutta a suo proprio interesse. Non dico che questo sia sempre falso. Talvolta purtroppo accade, ma “talvolta” non vuol dire “sempre” ed è proprio nella relazione con l’uomo che la donna si differenzia e comprende la specificità della propria identità. Dal mio punto di vista tutto questo che oggi viene presentato come il segno di una conquista sociale, l’emancipazione culturale vera e propria, è solo un abuso che la donna sta subendo. In altri termini stiamo facendo credere alle donne di essere sempre più libere ma in realtà le stiamo snaturando. Semplicemente snaturando. 

Parliamo della tua identità cristiana… ci sono figure di santi che ti hanno illuminato il cammino?

Certamente la figura di Carmen Hernandez mi ha ispirata in maniera particolare, ma se parliamo di santità allora penso a Chiara di Assisi, santa Teresa di Gesù Bambino, santa Teresa di Calcutta che ho conosciuto quando avevo 15 anni. Penso a Gianna Beretta Molla e a Chiara Corbella. Donne straordinarie che nella loro ordinarietà hanno saputo fare cose meravigliose, lasciandosi guidare da Dio e riflettendo l’immagine della femminilità di Maria, la Madre di Gesù, la nuova Eva. Il nostro Movimento si fonda su tre chiavi: la prima è proprio Maria nuova Eva. Perché se la prima donna aveva tradito la sua missione aprendo la porta al peccato, Maria ha aperto la porta alla Risurrezione. La terza chiave riguarda l’annuncio che viene fatto alle donne al sepolcro: “Andate e annunciate”. Una missione che molte donne come quelle che ho citato prima, hanno saputo cogliere e vivere in pienezza.

Se qualcuno ti accusasse di sostenere i valori della famiglia perché sei cristiana, cosa risponderesti?

Che non è vero! La fede ti permette di vedere come con una lente di ingrandimento alcuni misteri che sono celati a chi non vuol guardare. Ma non c’è bisogno di andare a scomodare Dio per capire l’importanza della madre agli occhi di un figlio, il ruolo sociale e affettivo che svolge nella famiglia, l’importanza della diversità tra uomo e donna e dell’alleanza tra di loro. Queste sono verità etiche e antropologiche che condividono anche molte persone atee. Perché la corrente di pensiero che oggi purtroppo domina non è solo contraria alla Chiesa ma all’uomo ed è chiaro che non c’è bisogno di essere credenti per condividere.  




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Ida Giangrande

Ida Giangrande, 1979, è nata a Palestrina (RM) e attualmente vive a Napoli. Sposata e madre di due figlie, è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II. Ha iniziato a scrivere per il giornale locale del paese in cui vive e attualmente collabora con la rivista Punto Famiglia. Appassionata di storia, letteratura e teatro, è specializzata in Studi Italianistici e Glottodidattici. Ha pubblicato il romanzo Sangue indiano (Edizioni Il Filo, 2010) e Ti ho visto nel buio (Editrice Punto famiglia, 2014).

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