“Accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarci”: lo facciamo sul serio?

gravidanza

Il sesso implica responsabilità, perché è attraverso quel gesto che si “possono generare nuove vite”. Ne abbiamo già parlato, ma oggi inizieremo a sviscerare l’argomento alla luce delle promesse matrimoniali.

“Consapevoli della nostra decisione, siamo disposti, con la grazia di Dio, ad amarci e sostenerci l’un l’altra per tutti i giorni della vita. Ci impegniamo ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarci e a educarli secondo la Parola di Cristo e l’insegnamento della Chiesa”. Quando penso al giorno delle mie nozze, spesso mi vengono in mente queste due frasi: brevi e semplici, eppure intense e grandi come il mondo intero. Sono le parole che pronunciamo all’altare durante il rito del matrimonio e che sintetizzano perfettamente, a mio avviso, cosa significhi vivere in Dio – e inseriti nella comunità cristiana – l’amore sponsale. Fra queste righe, c’è un’espressione su cui ci soffermeremo in particolare, perché riguarda la sessualità (tema della nostra riflessione): “Accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarci”.

Partiamo dalla prima parola: “Accogliere”.

Digitandola su Google, ciò che vi verrà fuori è la seguente definizione: Accogliere [ac·cò·glie·re]: 1. Ricevere presso di sé, ammettere nel proprio gruppo. 2. Accettare, approvare. 3. Ricevere dentro di sé, contenere. L’accoglienza implica che io “faccia spazio ad un altro”, che permetta a qualcuno di entrare nella mia vita. Questo qualcuno non è una “cosa che mi appartiene o che costruisco a mio piacimento” (altrimenti avremmo detto: “Ci impegniamo a fare/possedere i figli”): è un essere umano “diverso da me” che entra in relazione con me. Noi sposi apriamo ai figli le porte della nostra famiglia, senza la pretesa di dominarli, di assoggettarli, di considerarli nostra proprietà. E Dio ci aiuta a fare questo. Il sacramento del Matrimonio non è solo per noi in quanto “marito e moglie”, ma anche per noi in quanto futuri “genitori”. A volte ci dimentichiamo che sposandoci in Chiesa affidiamo a Dio anche la nostra paternità e la nostra maternità

Leggi anche: Che cosa si comunicano due sposi che appartengono a Cristo, quando fanno l’amore?

Il contrario di accogliere? Respingere. 

Ma se accogliere vuol dire tutto ciò che ci siamo detti (e sicuramente molto di più) qual è il suo contrario? Google suggerisce, tra i contrari, queste due parole: “respingere” ed “escludere”. Perché si può respingere un figlio? Ovviamente, ogni storia è a sé. Però, se volessimo indagare un po’ i motivi che portano a questa decisione, vediamo quasi sempre la paura. Paura di cambiare vita, paura di non farcela economicamente, paura di non essere grandi abbastanza, paura di essere troppo vecchi, paura di non realizzare i propri sogni. Paura che un figlio ci rubi la vita, invece di arricchirla. Molti pro-choise sono consapevoli che l’aborto sia uno “sporco lavoro”. Così, ad esempio, lo definisce, nel suo libro L’ho fatto per le donne (Mondadori Editore), il dott. Segato: un medico del Nord-Italia che ha praticato 4000 aborti nella sua carriera e che continua a praticarli per “rispettare la volontà delle donne”. Per lui, l’aborto non è qualcosa di buono in sé (usando testualmente le sue parole, “nessuna persona sana di mente definirebbe bello un aborto”). Per Segato, semplicemente il fine (evitare ad una persona di affrontare la responsabilità di un figlio se non vuole/non si sente in grado) giustifica il mezzo (eliminare il concepito, anche se già perfettamente formato). 

Dietro al “diritto di abortire” una visione ben precisa della sessualità. Diversa da quella cristiana.

Dietro alla legittimazione dell’aborto di fondo c’è questa visione del sesso: “Voglio farlo con chi mi va, quando mi va, senza conseguenze. Sono libero/a di fare ciò che voglio del mio corpo, quindi anche di un figlio, finché si trova in esso”. Oggi, riflettendo su procreazione e sacramento sponsale, proviamo a inquadrare la sessualità in modo diverso.

  1. Proviamo a vederla solo all’interno di un progetto di vita che punti al per sempre (matrimonio).
  2. Proviamo a vedere la fecondità come un aspetto di cui, in quanto coppia, siamo responsabili, invece di metterlo tra parentesi (il sesso è per l’unità e per la procreazione: né solo per l’una, né solo per l’altra).
  3. Proviamo a vedere quel “ci impegniamo ad accogliere i figli” come una promessa di cui Dio stesso si fa garante (Cristo viene in mezzo a noi col sacramento, non siamo soli davanti a un figlio imprevisto).

Cosa succederebbe se tutti scoprissero la bellezza di vivere l’intimità e la fecondità così? Io penso che non ci sarebbe più bisogno di battersi contro le leggi che promuovono l’aborto, perché smetterebbe proprio di essere visto come una soluzione “necessaria” e plausibile. Invece di puntare il dito contro il mondo che non conosce ancora tutto questo (meglio tendere le mani, piuttosto) secondo me, noi cristiani dovremmo chiederci se stiamo facendo abbastanza perché le persone sappiano che, in una cultura dove i rapporti si bruciano e si consumano, si può vivere la sessualità anche così. Ed essere pienamente felici.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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