Non rispondere a lettere o messaggi? Segno di disattenzione al prossimo…

Nel mondo di oggi, con tante cose nuove e belle, c’è anche una diffusa caduta della buona educazione, intesa come attenzione al prossimo, vera e propria carità. Così aumenta a dismisura la comunicazione effimera mentre diminuisce quella di idee, sentimenti, affetti. Una delle cattive abitudini? Non rispondere agli appelli.
«Il Card. Siri rispondeva alle lettere dei suoi sacerdoti entro le ventiquattrore, ed avevano la precedenza anche su affari ufficialmente più importanti». Sono parole di Giacomo Barabino, che prima di diventare Vescovo (da ultimo nella diocesi di Ventimiglia-Sanremo) era stato per ben 21 anni segretario personale, a Genova, del Cardinale Giuseppe Siri.
Si parla di persone dell’altro secolo, quando ancora non c’erano WhatsApp e gli altri social che conosciamo. Bisogna però ammettere che, se per l’uso immediato le e-mail e i messaggini via cellulare – per non parlare delle telefonate – sono indubbiamente indispensabili, la lettera rimane però altrettanto indispensabile in ogni comunicazione che voglia essere autentica e profonda. Ricordo quelle che scambiavo con la mia fidanzata (spesso arricchite da allegati come ritagli di giornale o, magari, qualche fiorellino essiccato) e che sono state utilissime per perfezionare la nostra conoscenza reciproca. Ci siamo sposati dopotutto…
Naturalmente in certi casi ci vuole un contatto diretto, guardandosi negli occhi: allora contano le parole, e la voce può essere il vero specchio dell’anima. Ma capita che al tono e persino al timbro vocale sia preferibile la silenziosa mediazione dello scritto: ci sono infatti cose che, dette a voce, hanno a volte un’approssimazione e un’emotività che possono essere opportunamente corrette da uno scritto ben meditato.
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Nella mia esperienza ho avuto la fortuna di conoscere sacerdoti davvero bravi, un cui tratto comune – anche quando diversi per impostazione e sensibilità – era appunto quello di rispondere immediatamente alle lettere che scrivevo loro. Uno di essi, diventato vescovo, non mancava mai di mandare anche solo due righe, scritte a mano. Persone che sapevano, e sanno, che Dio sa contare solo fino a uno e che ognuno di noi, davanti a Lui, è la persona più importante della storia. In un certo senso la cosa si ripete appunto nel rapporto con un sacerdote e persino nell’amicizia: che è il prodigio per cui un amico può avere qualsiasi posizione rispetto alla nostra, può essere credente o ateo, comunista o reazionario, interista o milanista, eppure rimane una persona unica, e non ci tocca altro che amarla.
Nel mondo di oggi, con tante cose nuove e belle, c’è anche una diffusa caduta della buona educazione, intesa non come stucchevoli “buone maniere” ma come attenzione al prossimo, vera e propria carità. Così aumenta a dismisura la comunicazione effimera (il cellulare incollato all’orecchio in un blablablà insipido e continuo) mentre diminuisce quella di idee, sentimenti, affetti.
Eppure, da Paolo in poi, i nostri santi sono sempre stati dei grandi scrittori di lettere, a partire dal san Girolamo autore della traduzione latina delle Scritture, la famosa Vulgata. Per la quale non si limitò a un lavoro erudito, ma volle percorrere a piedi la Terrasanta per vedere e toccare i luoghi raccontati nel libro santo. Eppure, come ha scritto papa Benedetto XV in occasione del quindicesimo anniversario della morte, anche lui non mancava di “rispondere alle lettere che da ogni parte gli giungevano per sottoporgli difficoltà esegetiche da risolvere”. Anche il beato Antonio Rosmini, il filosofo ottocentesco amico di Manzoni e tra i maggiori ingegni del cattolicesimo moderno, raccomandava di rispondere alle lettere; e così un altro sommo, Hans Urs von Balthasar, amico di san Giovanni Paolo II. Con loro ricordo lo storico presidente della Confindustria del Dopoguerra, Angelo Costa, che rimproverò una volta un certo monsignore di avere snobbato una sua accorata lettera…
Tra gli epistolografi non mancano politici di razza, da Berlinguer ad Andreotti, sino a Mino Martinazzoli che scriveva agli amici lettere minuziose in una calligrafia impeccabile come il suo stile. Caratteristiche che mantenne (calligrafia ovviamente a parte) una volta convertito alla posta elettronica, un mezzo in cui portò tutta la sua civiltà umanistica e cristiana.
Oggi capita sempre meno di ricevere lettere, ma in compenso si sono moltiplicate le e-mail, favorite dagli “Inoltra” e dal fenomeno del “copia/incolla”. Ma anche nel mondo informatico succede troppo spesso che delle lettere personali, serie, rimangano senza risposta. Certo, chi è senza peccato… Ma al di là delle umane debolezze, mi pare che sia segno di una disattenzione verso il prossimo quando non di una vera e propria mancanza di carità.
Bisognerà forse occuparsene nella formazione e, chissà, nella catechesi. Magari prendendo spunto dalle bellissime lettere di san Paolo!
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