“Non voglio abortire, ma sono costretta”

tristezza

L’esperienza di un medico obiettore

Nella mia esperienza personale ho imparato che quando le donne arrivano in sala operatoria per abortire, spesso, è troppo tardi. La loro scelta non è un fatto privato, ma rappresenta il fallimento di una società che doveva dare risposte di senso e che non si è rivelata all’altezza. 

I mesi trascorsi in Ginecologia e Ostetricia hanno lasciato in me un’unica consapevolezza: quasi la metà delle procedure che vengono effettuate sono interruzioni volontarie di gravidanza o tecniche di fecondazione assistita. Un ossimoro, specchio delle contraddizioni della società, della medicina e, in ultimo, del cuore dell’uomo.

E così quando nel fiore degli anni viene donato un figlio ad una giovane donna che non se l’aspetta, tante altre più avanti con l’età sono al quinto intervento di pick up perché la notte sognano di stringere tra le braccia il proprio bambino.

Da medico, e da donna, sento scorrere nelle vene la sofferenza di entrambe le categorie. Sara (nome di fantasia) è sul lettino della presala. Gli occhi lucidi mi fissano. “Ci hai ripensato?” le chiedo sperando in un piccolo miracolo. “Dottoré, se fosse per me strapperei tutto e tornerei a casa. Io non voglio abortire, sono costretta”. Mi racconta la sua storia fatta di tradimenti, di violenza, di paure. In tutto questo miscuglio di sbagli e sofferenze, provo ad infonderle coraggio. Un barlume di speranza compare sul suo volto e finalmente accenna un sorriso accanto alle lacrime, subito dopo però il volto si oscura di nuovo. “Ormai è troppo tardi…”.

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“Tardi”: questa parola risuona nella mia mente quando a fine giornata raccolgo l’ennesima vita spazzata via dalla superficialità di una società che non sa e non vuole rispondere al desiderio di bellezza che alberga nel cuore di ogni uomo. Siamo arrivati troppo “tardi”. Dovevamo esserci quando Sara cresceva a parlarle e testimoniarle di che cos’è l’amore vero, a dirle che è prezioso e questa preziosità va donata solo a chi è disposto a fare lo stesso con lei.

Dovevamo parlarle di quanta verità esiste nel “PER SEMPRE”, dirle che l’amore per tutta la vita non è una favola per sciocchi ma che si costruisce giorno dopo giorno. Dovevamo testimoniare che la castità non è un “precetto medievale della Chiesa” ma la strada privilegiata di un amore che si fa rispetto e cura per l’altro.

Infine, dovevamo dirle che la vita umana non è un gioco e che ogni figlio che viene concepito è un dono unico e irripetibile e tutto questo è accertato e testimoniato dalla scienza. È un figlio che con l’aborto paga gli errori commessi dai suoi genitori e da tutti quelli che sono stati coinvolti dal suo concepimento.

La società è costituita da un insieme di persone che si prendono cura l’una dell’altra, eppure non ha saputo fornire in tempo delle risposte rispettose della dignità e della vita per Sara e per suo figlio. Ed ora è soltanto troppo tardi.




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1 risposta su ““Non voglio abortire, ma sono costretta””

Grazie. E’ proprio così, ma non dovremmo aver paura di dire “Non abortire. Sarai contenta”. “Te lo assicuro”. Occorre rinforzare la parte pro life che esiste già nella donna e anche nell’uomo.

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