Io, addetto al controllo dei green pass degli alunni. Quando “differenziare” vuol dire “discriminare”

9 Febbraio 2022

green pass

Sono stato incaricato di controllare il green pass degli alunni e mi sono ritrovato a dover scegliere tra chi deve entrare e chi deve andare via. Il governo continua a dire che va tutto bene, ma forse dovrebbe guardare meglio la realtà che io vedo “dalla cattedra”.

Ha ragione il Ministro Bianchi. “La Scuola ha l’obbligo di insegnare il peso che hanno le parole. Ogni parola è socialmente rilevante”. I telegiornali hanno dato molta risonanza a questa frase pronunciata dal Ministro durante la celebrazione della Giornata della memoria. Ogni parola è socialmente rilevante. Ma alcune hanno un peso maggiore, perché escono dalla bocca di persone che, per i ruoli che ricoprono, hanno una risonanza più ampia. 

E proprio perché esse hanno un peso, vanno cesellate e dosate. Vanno maneggiate con cura. E non mistificate. Prima di quelle del Ministro, ne erano arrivate altre, con un peso specifico addirittura superiore. Le aveva pronunciate il Premier Draghi nella conferenza stampa di “chiarimento” delle scelte del Governo in materia di scuola (ma anche d’altro). “Il governo sta affrontando la sfida della pandemia e la diffusione di varianti molto contagiose con un approccio diverso rispetto al passato: vogliamo essere molto cauti ma anche cercare di minimizzare gli effetti economici, sociali, soprattutto sui ragazzi e le ragazze, che hanno risentito delle chiusure dal punto di vista psicologico e della formazione”. Questo aveva detto Draghi. Aveva fatto anche notare come la didattica a distanza è motivo di diseguaglianze e perciò ne va respinto il ricorso generalizzato. Poi aveva aggiunto: “Ai ragazzi si chiede di stare a casa, poi fanno sport tutto il pomeriggio e vanno in pizzeria. Non ha senso chiudere la scuola prima di tutto il resto, ma se chiudiamo tutto torniamo all’anno scorso e non ci sono i motivi per farlo”. Qualcuno ha tradotto brutalmente in questo modo: “Per motivi economici, dobbiamo mantenere aperte le attività commerciali ricreative e, quindi, siccome quelle devono restare aperte, dobbiamo mantenere aperte anche le scuole”. Traduzione corretta? Nella sostanza, sì. Nella forma, forse è un po’ rozza. La verità è però, che lontani dalla narrazione secondo la quale è “fondamentale garantire ai giovani la formazione”, le scuole sono aperte non perché siano la principale preoccupazione del Governo ma perché siamo costretti a tenerle aperte dalla sua reale e principale preoccupazione, quella economica. 

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E difatti, dal 10 gennaio la scuola è un crogiolo di posizioni diverse. I più ricorderanno che il Governatore della Campania aveva preso una decisione diversa dal Governo centrale con un’ordinanza che lasciava le scuole in DAD per almeno quindici giorni ancora in Campania. Da quel momento non si è capito più nulla. Alcuni genitori si sono opposti alla scelta di De Luca e hanno fatto ricorso al TAR affinché riaprisse le aule. Altri genitori hanno diffidato i Dirigenti scolastici dal prendere tale decisione, dimenticando che un Dirigente è poco più che un esecutore di norme che gli arrivano dai livelli superiori che in questo caso si mostravano in conflitto tra di essi. Più di uno tra i dirigenti si è posto il non secondario problema, in quei giorni, di scegliere a chi obbedire: al Governo o al Governatore? Abbiamo passato il fine settimana a preparare le piattaforme per la didattica a distanza temendo che tutto ciò non sarebbe servito. Siamo finiti, infatti, col ritornare in aula il giorno seguente e col Governatore seduto sulla riva del fiume in attesa che la corrente portasse con sé il “cadavere” del nemico sotto forma di classi sempre più chiuse in DAD. 

Dal rientro in classe dopo le vacanze di Natale, la Scuola ha cambiato natura: questo va detto. Le segreterie sono diventate delle sezioni staccate degli UOPC per gestire i tantissimi casi di positività che sono usciti in grande quantità. I dirigenti hanno, in qualche caso, creato delle vere e proprie task force per la gestione delle positività che impegnava i collaboratori a giornate intere. In quei terribili giorni, fare scuola è coinciso col decidere chi potesse entrare e chi no, chi potesse fare lezione in presenza e chi in Dad e chi in Did. Il risultato è stata un’enorme confusione con genitori e docenti spaesati e disorientati tra le circolari, che tra l’altro sono cambiate più volte nell’ultimo mese. 

L’ultimo cambiamento, per giunta retroattivo, arriva mentre scrivo questo articolo. La didattica è il nostro ultimo pensiero in questo periodo. L’orizzonte ora è resistere in attesa di tempi migliori. Chi scrive ha avuto l’ingrato compito di controllare il green pass degli alunni al mattino nelle classi dove era prevista la differenziazione tra alunni vaccinati e quelli che ancora non lo erano. È stato terribile. La sera precedente abbiamo avvisato i genitori affinché mandassero a scuola solo i figli che effettivamente potessero essere ammessi in classe. E, invece no. Ci siamo trovati davanti ragazzi che non potevano essere ammessi. Fermarli sull’uscio impedendo loro di accedere alle aule è stata un’esperienza annichilente. Tutto ciò per cui lavoro, una scuola accogliente ed inclusiva, svaniva istantaneamente sotto i colpi di un DPCM che pure, nelle intenzioni, era stato scritto per far funzionare la Scuola. Sbigottimento generale. Una ragazza, di fronte al divieto di entrare è scoppiata a piangere. Non dimenticherò mai lo smarrimento dipinto nei suoi occhi! Un giorno ho fatto entrare alcune studentesse che il giorno successivo non avrebbero potuto perché scadevano i 120 giorni dal completamento del primo ciclo di copertura vaccinale. “Prof, ma domani possiamo venire?”. Potete immaginare la risposta. Ma poi, la Did, cioè la didattica integrata per alunni a casa e alunni in classe ha funzionato? In una classe ci siamo trovati di fronte al paradosso di un alunno presente in aula e tutti gli altri in collegamento da casa perché quell’alunno era l’unico ad avere i requisiti per la presenza. Il buon senso avrebbe detto DAD (cioè tutti a casa in collegamento) ma la normativa non lo permetteva. Il ragazzo ha usufruito di una orrenda lezione perché i docenti dovevano occuparsi di quelli a casa i quali, a causa di una linea telefonica non sufficientemente potente, hanno avuto una grande difficoltà. Risultato: abbiamo finto di fare lezione. Abbiamo finto di integrare. Abbiamo discriminato tra coloro che potevano entrare e coloro che non potevano. Tre fallimenti in un colpo solo. 

Non tutte le scuole sono raggiunte dalla fibra, va detto. Il tentativo di dotarne una buona parte sta naufragando sotto i colpi dell’eccessivo impegno delle ditte che devono garantire il passaggio alla fibra. Così succede che, per fare un esempio, si debbano mantenere 15 classi con una linea ADSL evidentemente non sufficiente. Molti colleghi hanno cercato di fare lezione da scuola usando i giga dei propri dispositivi. E non è un caso isolato. I presidi lo hanno fatto presente a più riprese. Tuttavia il ministro Bianchi ribadiva che le cose andavano bene. Si è avvertita una grande scollatura tra ciò che il Ministro affermava e quello che invece si vedeva sul campo. Come non ripensare alla lezione sul peso delle parole? Solo che stavolta era proprio il Ministro a non pesarle. Dal basso del campo di battaglia, dalla frontiera della cattedra abbiamo avvertito un profondo iato tra la realtà e la narrazione che ne veniva proposta da Roma. Questa questione della discriminazione tra vaccinati e non vaccinati, poi, sta facendo ancora discutere. Il sottosegretario all’istruzione, Rossano Sasso, ha affermato che si “sancisce una inaccettabile discriminazione tra studenti vaccinati e non vaccinati in merito ai protocolli su quarantene e didattica a distanza. La soluzione proposta dal ministro Speranza rappresenta una grave mancanza di rispetto nei confronti della scuola, luogo per eccellenza di accoglienza e inclusione. Negare un diritto a qualcuno non rafforza di certo i diritti degli altri”. 

Per il ministro Bianchi, “introdurre l’opportunità per i vaccinati di restare a scuola e non per i non vaccinati non è assolutamente un tentativo di discriminazione da parte del governo”. Differenziare, sembra dire, non è discriminare. Un ossimoro? Le parole hanno un peso? Qualcuno si è chiesto, infine, perché infierire su ragazzi che non sono vaccinati non per loro scelta ma perché i genitori non hanno voluto. E così abbiamo trasformato i nostri studenti in campi di battaglia tra governo da una parte che perseguiva la campagna vaccinale e genitori non convinti della bontà della scelta di sottoporre all’inoculazione del siero i propri figli. I ragazzi, come i presidi e gli insegnanti, in mezzo a subire colpi dal basso e dall’alto. Il risultato è una cattiveria nelle relazioni di molto aumentata e per nulla frenata. Che scuola ne può nascere? Che conoscenza ne può derivare? Saranno pure rimaste aperte le scuole, ma dentro si è cresciuto? Oppure anche questa è stata alla fine solo una grande mistificazione? Forse che l’obiettivo non era tenere le scuole aperte ma che questo fatto testimoniasse una forza di governo da esibire alla Nazione? E così torniamo alle domande di partenza. In Italia, la Scuola, la Buona Scuola, la voglia di crescere cittadini migliori sono davvero priorità? Se stiamo a guardare l’evidenza che in due anni, quasi nulla è stato fatto per diminuire il numero di alunni per aula, per migliorare trasporti nonostante la pioggia di soldi dichiarata, la risposta è malinconicamente negativa. In questo modo, ancora una volta, la Scuola sarà utile come strumento (quindi non ancora come fine) nell’imminente campagna elettorale che abbiamo alle porte. 




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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