Baby gang, odiatori seriali che smascherano l’assenza di Dio

malessere

Cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Tra baby gang e odiatori seriali sembra che abbiano perso il senso della vita, la propria e quella degli altri. Ricominciare è possibile? 

La cronaca degli ultimi mesi sulla questione delle baby gang non può non interpellarci. Sono sempre di più gli episodi di violenza messi in atto da veri e propri ragazzini. Talvolta basta una sciocchezza per brandire un coltello e lacerare la carne dell’altro è questione di un attimo. La violenza è tale che non si può umanamente spiegare. È come se i nostri figli avessero perso il senso del dolore che possono provocare, come se avessero perso il valore stesso della vita, la propria e quella degli atri. Cosa sta succedendo? In cosa abbiamo sbagliato?

L’individualismo, l’esaltazione del benessere privato, la soddisfazione dei propri istintivi bisogni, l’arrivismo, la competizione che spinge a calpestare l’altro fino a violare la sua dignità con una aggressività che si manifesta già nel linguaggio, sono solo alcuni dei demoni che insidiano la formazione umana dei nostri ragazzi. Dico nostri siamo tutti coinvolti. Un figlio non è un bene privato, è ricchezza di tutti e ne siamo responsabili come comunità civile fatta di adulti che educano e che offrono un esempio di vita. La mia provocazione è proprio questa: qual è la testimonianza di vita che offriamo ai nostri giovani? Quale esempio diamo loro?

Nella notte di Capodanno in piazza Duomo a Milano ben nove ragazze sono state molestate da quello che sempre più spesso si definisce “branco” e che in realtà è solo un manipolo di ragazzini di età compresa tra i 15 e i 21 anni. Tra sabato e domenica scorsa sempre a Milano sei ragazzi sono stati aggrediti e feriti in meno di due ore e altri due sono stati assaliti e rapinati sotto la minaccia di un taser. Tutti casi accaduti in pieno centro, tra Brera, la zona di Garibaldi e i grattacieli dello skyline di Porta Nuova. Anche qui gli autori della violenza hanno una età simile a quella dei fatti di Capodanno. Dunque perché questi ragazzi sembrano aver bisogno di fare violenza? Sottrarre i figli alla deriva individualista, abusante e violenta verso gli altri vuol dire far crescere in loro un atteggiamento interiore che sa dare spazio agli altri, alle necessità del prossimo fino a sentire come proprio il bisogno di chi mi sta accanto e scegliere di porsi al suo servizio. Ma noi abbiamo smesso da tempo di educare a questo. Abbiamo invece scelto di insegnare a pensare a se stessi, al proprio bene, a usare l’altro per assecondare i propri bisogni.  

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Un atteggiamento interiore di apertura e di servizio al prossimo può essere alimentato solo attraverso un costante e leale confronto con Cristo che può liberare dai condizionamenti di una cultura che deforma la verità in funzione dell’io. Dove c’è Cristo, l’uomo vive. Dove la sua Parola mette radici, si edifica anche la casa dell’uomo. Il tentativo di emarginare Cristo, di non considerarlo più come l’unico Salvatore, si traduce inevitabilmente nella demolizione dell’umano, nello smarrimento della sua verità.

I genitori hanno il dovere di creare le condizioni perché i figli possano guardare a Cristo e nella grazia dello Spirito Santo mettere in campo scelte e gesti concreti. Ma quali possono essere i contenuti di un percorso educativo volto a dare alla vita uno stile di servizio sull’esempio di Gesù? Come sempre non esistono ricette precise, ma possiamo tracciare alcuni sentieri:

  1. Accettare la sofferenza e anzi trovare in sé le risorse per affrontarla. Può essere salutare aiutare i figli a trovare le ragioni per affrontare delusioni, fallimenti, sviluppare uno spirito di sacrificio e attesa. Teresa di Lisieux scrive: “Non ci illudiamo di poter amare senza soffrire, senza soffrire molto”.
  1. Vivere la gratuità. Non tutto si fa solo perché c’è una ricompensa. Ci sono azioni, soprattutto quelle che hanno il sapore della carità, che devono comportare sacrificio, una rinuncia. A che serve chiedere al figlio di donare un giocattolo rotto per darlo al bambino povero? Non sarebbe più educativo chiedere di rinunciare al giocattolo per regalarlo a chi non ne ha? 
  1.  Crescere nell’umiltà. Permettere ai figli di avere uno sguardo che sa riconoscere l’altro come una ricchezza da valorizzare.

L’educazione è un itinerario formativo che richiede tempi lunghi, ma l’impegno di educare il cuore dei figli perché possano accogliere la testimonianza di Gesù è un dovere genitoriale. 




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Giovanna Pauciulo

Sposa e madre di tre figli, insieme al marito Giuseppe è referente della Pastorale Familiare per la Campania, ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II. Conduce su Radio Maria la trasmissione “Diventare genitori. Crescere assieme ai figli”. Collabora con Punto Famiglia su temi riguardanti la genitorialità e l’educazione alla fede dei figli. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018).

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