Cosa significa per noi giovani “dacci oggi il nostro pane quotidiano”?

preghiera

di Gabriella Ruggiero

Santificarsi vuol dire anche sacrificarsi, ma noi giovani abbiamo ancora il senso del sacrificio? Fino a che punto siamo disposti a mendicare il nostro “pane quotidiano” nella certezza che noi non bastiamo a noi stessi?

Abbiamo vissuto da poco tempo il cenacolo di Quaresima come giovani della Fraternità di Emmaus. È stato un tempo di sosta, verifica e ripartenza che ha avuto come tema il passaggio del Padre Nostro che recita “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Cosa significa “dacci oggi il nostro pane quotidiano”?

Il pane è classificato come genere di prima necessità, come alimento essenziale. Riportando il concetto di essenzialità nell’ottica della fede ci siamo trovati ad interrogarci e a cercare d’ individuare cosa sia essenziale per noi. Interrogativi che ci siamo posti stando nella condizione di chi è mendicante, di chi cerca, di chi chiede (a Dio), di chi capisce che da solo non può saziare il proprio bisogno. Ed una volta che il Signore, che è Padre Misericordioso, ci nutre e lo fa anche in abbondanza cosa accade? Abbiamo ascoltato due esperte in materia la dolce mamma Roberta e la spumeggiante mamma Carmela. Mamme che hanno capito che del pane ricevuto non si fa provvista o si accumulano scorte ma si dona e lo hanno capito così bene da diventare esse stesse pane per gli altri. 

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Nelle loro case, le Oasi, arrivano bambini che per il resto del mondo sono dei condannati, per motivi biologici o sociali, e loro gettano nuova luce su queste piccole vite accordando la dignità che a tutti spetta per nascita. Sono donne di fede innamorate ed appassionate che non semplicemente devote ma attive protagoniste nella Chiesa. Ci hanno fatto capire che Dio da noi può accettare anche il poco a patto che quel poco sia tutto. Sono donne che non hanno ragionato nella logica del possibile come un giovane, Akash Bashir. Un giorno questo diciannovenne era di presidio davanti a una chiesa in Pakistan e si è trovato a fare i conti con un kamikaze al quale ha avuto l’ardire di dire “oggi io morirò ma tu da qui non passerai” e così ha salvato la sua comunità da una strage. Questa storia dimostra letteralmente che il sì che ci santifica ci sacrifica. Un sacrificio umano enorme che porterà Akash nella schiera dei santi. A noi è chiesto molto meno. È chiesto di morire sì, ma a noi stessi. Di abbassare le pretese, spesse volte neanche originali perché figlie di un condizionamento che è fuori da noi. Abbassare le pretese non significa svalutarsi o perdere le grandi occasioni della vita, ammesso che sappiano discernere quali esse siano. A noi è chiesto di fidarci di un Dio che nella misura in cui lo preghiamo, (dacci oggi il nostro pane quotidiano), lo lasciamo operare, è pronto a metterci in condizione di fare cose più grandi di quelle che il nostro immaginario può partorire.

 Quindi a che gioco sto giocando? Sono pronta a interrogarmi, scomodarmi, prestarmi fino a sacrificarmi per l’opera di Dio?




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