Ma la Chiesa riflette l’impegno di Dio per gli sposi?

14 Maggio 2022

La maggiore attività di Dio? Formare coppie e accompagnarle. Tuttavia sono sempre di più quelle che scelgono la convivenza e cioè escludono Dio dalla loro vita. Sarà che forse c’è ancora poca attenzione all’amore coniugale da parte della Chiesa?

Si racconta nel Talmud che una Matrona romana, siamo all’inizio del primo secolo dopo Cristo, si dirige verso un maestro ebreo e gli chiede: “Dimmi un po’, ma il vostro Dio di che si occupa?” Il maestro le risponde: “Dio è quello che ha creato il mondo in sei giorni e il settimo giorno si è riposato. Ha creato tutto il mondo nella sua complessità”. La Matrona risponde: “Bene! Chiaramente il mondo è completo, ma se il mondo è completo per definizione perché non manca niente, da quel momento in poi, il vostro Dio che si è messo a fare?”.  Il Rabbi le dice che “da quel momento in poi è Dio che si occupa di trovare partner giusti. È di questo che si occupa Dio e non ti sia semplice ai tuoi occhi ma è forse l’attività più complessa che compie, è più complessa dell’apertura del Mar Rosso”. La Matrona insiste: “Scusa, questo che fa Dio lo posso fare anche io. Ho infiniti servi e serve, li metto insieme e dico: questo si accoppia con questa, quest’altra si sposa quell’altro, è una cosa semplice”. La Matrona torna a casa e comincia a svolgere questa attività, prende i servi e li accoppia. La mattina dopo, tutte queste coppie vanno dalla Matrona portandole sgradite novità: un servo a cui mancava un braccio, una serva a cui mancava la gamba, uno schiavo accecato e l’altro senza capelli. Arrivano tutti insieme davanti alla Matrona e le dicono sostanzialmente: “Io con quello non ci voglio stare più”. Recandosi nuovamente dal maestro, la Matrona gli dice: “Adesso capisco cosa fa il vostro Dio. Quanto è difficile produrre gli accoppiamenti nel mondo e perché lo ritieni più complicato che dividere il Mar Rosso”. 

Il maestro spiegò alla Matrona che gli accoppiamenti avvengono, secondo il Talmud, nei primi 40 giorni dal concepimento. Ecco perché quando due giovani si sposano viene detto loro “che tu abbia una buona fortuna”. Perché augurare la buona fortuna se gli accoppiamenti li ha fatti Dio e, quindi, sono giusti? In realtà esistono due tipi di accoppiamenti: il primo consiste nell’assegnazione del partner, poi, però, esiste una seconda attenzione che Dio fa. Essa consiste nel fatto che quell’unione tra l’uomo e la donna deve produrre un’armonia lungo tutto il percorso della vita. In quel caso sì che è come la divisione del Mar Rosso e Dio deve fare attenzione a che le azioni dell’uno e quelle dell’altro si uniscano in maniera armoniosa. Ciò sottolinea la particolare cura ed attenzione che Dio ha nel corso di tutta la vita dell’uomo nel trovargli dei “giusti accoppiamenti”.

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Questo breve racconto della tradizione ebraica mostra come il matrimonio risulti essere la scelta vocazionale più complessa. Essa non è basata soltanto sull’attrazione reciproca, ma nel generare armonia tra i due e tra essi con coloro che li circondano per tutta la vita. Il non detto del racconto è forse anche più importante: le sole forze dell’uomo non gli garantiscono che il rapporto proceda bene. C’è bisogno dell’azione continua di Dio. L’attenzione che Dio pone nella costruzione del matrimonio fa emergere anche la responsabilità. I coniugi, dopo il matrimonio, si impegnano ad essere responsabili nel costruire e mantenere la “società basica della famiglia” dove ciascuno è chiamato a prendersi delle responsabilità e ad assumere un ruolo determinato. Il racconto ci suggerisce anche che, se Dio si impegna così tanto nel formare coppie, anche i cristiani dovrebbero investire tutta la loro azione catechetica nel mostrare ai giovani la bellezza e la complessità di questa scelta e nell’accompagnarli lungo la loro esistenza. Risulta ancora troppo grande il divario che c’è tra la cura e la formazione di un presbitero e la formazione di due fidanzati che, quasi sprovvedutamente, si accostano al matrimonio. Eppure Matrimonio e Ordine sacro sono i due sacramenti della missione voluti da Dio per la costruzione del Suo Regno. Se non formiamo, in modo adeguato, i fidanzati al matrimonio rischiamo di non costruire il Regno di Dio o, almeno, mostrarlo al mondo in forma sbiadita

Oggi troppi sono i giovani che scelgono la via della convivenza pur ritenendosi credenti. Costoro ritengono non necessaria l’azione di accompagnamento di Dio nel senso del racconto precedente. Pensano di bastare da soli. Non è solo loro demerito: troppe sono le trasmissioni televisive, ad esempio, che banalizzano la scelta matrimoniale riducendola ad un evento mondano legato solo ai festeggiamenti perdendo, così, di vista l’essenza del matrimonio. Tutta questa banalizzazione conduce molte coppie alla separazione perché abbagliate dalla felicità effimera proposta dal mondo. Tutto ciò produce persone tristi, insoddisfatte, non aperte al dono, ma dedite solo a ricercare il proprio godimento. Ci si sposa, secondo la via cristiana, per rispondere ad una vocazione ben precisa: amare l’altro come Cristo ci ha amati, donarsi all’altro pienamente nell’amore, nella stima e nella fedeltà assoluta, sposare e amare dell’altro i difetti, non tanto i pregi, costruire, assieme, una piccola comunità domestica che insegni, ai propri membri, l’arte del dono gratuito e del servizio.

Il Talmud prima e Cristo nella concretezza delle sue scelte poi ci indicano come sia di primordiale importanza accompagnare e sostenere le giovani coppie nella via del matrimonio e quanto sia importante annunciare la buona notizia del matrimonio in una società ormai scristianizzata. Il compito di Dio come emerge dal racconto del Talmud consiste nell’accompagnare i giovani sposi nell’avventura del matrimonio nell’arco della loro esistenza e questo accompagnamento, per noi cristiani cattolici, avviene attraverso i Sacramenti. Le coppie create dalla Matrona, infatti, falliscono proprio perché sprovviste della cura di Dio. I sacramenti donano, a chi li riceve, la Grazia di vivere appieno lo stato di vita a cui si è chiamati. Il sacramento del matrimonio trasforma l’innamoramento, le emozioni carnali, l’attrazione fisica, la passione in qualcosa di concreto e solido. I sogni e i desideri che i giovani nubendi hanno quando scelgono di accostarsi alla celebrazione delle nozze non potranno avere lunga vita se non si fondano su Dio. È Cristo che trasforma la gioia frizzante che avvolge gli sposi nella gioia serena e duratura che aiuta i coniugi a guardare il loro quotidiano dall’angolatura di Dio, quella del dono disinteressato di sé. La storia riportata nel Talmud, da questo punto di vista, è davvero profetica, solo Dio dona e rinnova il vino buono che unisce gli sposi e fa proseguire la loro unione in armonia.

Se oltre ai giovani anche molti sacerdoti iniziano a banalizzare il sacramento grande, così definito dall’apostolo Paolo, davvero rischiamo di costruire una società senza Dio. Nei giorni scorsi una carissima amica mi ha raccontato, con le lacrime agli occhi, della scelta della convivenza fatta da sua figlia. Una ragazza che si ritiene cristiana, che a suo dire fa un cammino di fede e che accusa la madre di non adeguarsi ai tempi attuali nei quali la Chiesa, secondo lei, approva la sua scelta. La figlia sostiene di aver ricevuto l’approvazione della sua convivenza da parte di ben due sacerdoti con la rassicurazione di poter continuare ad essere educatrice e di poter ricevere l’Eucaristia perché non in peccato. Incredula nell’udire tali parole dalla figlia, la madre cerca un dialogo con uno dei sacerdoti che, in più occasioni, le conferma quanto detto dalla figlia. Questo fatto genera nel cuore dei cristiani una grande rabbia perché vede sottrarre la Verità del Vangelo e la sacralità del matrimonio e, quindi, di Dio. Questa mia carissima amica in uno dei dialoghi avuto con uno dei presbiteri ha avuto la forza di richiamarlo al dovere di essere sacerdote e guida per quei giovani, ma senza esito positivo. Ha ricevuto solo commiserazione perché, poverina, crede ancora alla potenza salvifica dei sacramenti ostinandosi a non adeguarsi al mondo. 
Sarebbe interessante capire in cosa e in chi credono questi presbiteri e se sono così moderni e superficiali anche a riguardo del loro stato di vita e in tutto ciò che dicono di amministrare. Sarebbe interessante comprendere il loro punto di vista a riguardo della consacrazione presbiterale e se ritengano che ci siano differenze tra il prima e il dopo averla ricevuta oppure se ritengono che si possa celebrare l’Eucaristia anche senza aver ricevuto l’imposizione delle mani da parte del Vescovo. La Chiesa tutta è chiamata ad interrogarsi sulla fede che professa e a vigilare sulla formazione dei giovani sacerdoti. È meglio avere pochi presbiteri che siano veri ministri del Dio vivo anziché troppe persone magari anche accattivanti che, tuttavia, si limitino a svolgere il mestiere di ministri, a questo punto non di Dio, ma del principe di questo mondo.




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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