Iper-sessualizzazione dei piccoli, la violazione del “diritto ad essere bambini”

18 Giugno 2022

Aumentano pubblicità che presentano i bambini in sembianze da adulti. Una serie di messaggi mediatici bersagliano i più piccoli che risultano incapaci di gestire cognitivamente ed emotivamente tali stimoli. Quali danni può produrre tutto questo?

La nostra epoca è caratterizzata in particolare da una tendenza ambivalente: da un lato la protezione del bambino è riconosciuta, come mai nel passato, un valore primario e inderogabile dalla collettività; dall’altro, appare invece diffusa la tendenza a perseguire forme sempre più pervasive di “adultizzazione” dei piccoli, che violano questa età della vita proprio nel suo principio costitutivo, cioè il “diritto ad essere un bambino”, di crescere cioè seguendo tempi e tappe fisiologiche (Ferraris, 2008). In modo particolare in questo articolo andremo ad osservare il fenomeno della sessualizzazione di infanzia e adolescenza

Il riconoscimento che i bambini hanno una dimensione sessuale non è di per sé preoccupante anzi del tutto naturale nel senso di dettato dalla natura, dal patrimonio genetico. Tuttavia, la iper-sessualizzazione a cui qui facciamo riferimento, cattura la sessualità lentamente sviluppata dei bambini e la modella in forme stereotipate della sessualità adulta. Secondo la relazione della Task Force APA sulla Sexualization of Girls pubblicata dall’American Psychological Association nel 2007, la sessualizzazione ha a che fare con il trattamento di altre persone (e talvolta di sé) come “oggetti del desiderio sessuale … come cose, piuttosto che come persone con legittimi sentimenti sessuali propri “. Secondo Fredrickson e Roberts (1997) si definisce “oggettificazione sessuale” la pratica di guardare, usare e/o valutare una persona alla stregua di un oggetto il cui valore è basato principalmente sulla sua capacità di essere attraente fisicamente e sessualmente. Le esperienze sessualmente oggettificanti non sono esclusivamente di natura sessuale, ma includono anche la pressione sociale per creare, presentare, mantenere e migliorare sempre un aspetto attraente, come l’ideale di magrezza per le donne e di muscolatura per gli uomini (Moradi, 2010, 2011; Zurbriggen, 2013).

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Aumentano pubblicità che presentano i bambini in sembianze da adulti. Una serie di messaggi mediatici bersagliano i più piccoli, che risultano incapaci di gestire cognitivamente ed emotivamente tali stimoli. Vari report evidenziano come molti media siano ampiamente sessualizzati (APA 2007, Mugnaini et al. 2011): presentano spesso la donna come un oggetto, il sesso come una merce e lo collegano sempre di più con la violenza. Oltre a non essere appropriati rispetto alle capacità evolutive, i messaggi che i bambini ricevono, circa un comportamento e un valore desiderabili, intaccano contenuti etici che vanno ben oltre il modo di vestirsi. Nel passato capitava che i piccoli fossero esposti a rappresentazioni della sessualità adulta o adolescenziale, ma oggi la proposta è decisamente più diretta. I bimbi stessi sono presentati in immagini o in pubblicità con sembianze e atteggiamenti modellati sul comportamento sessuale adulto. I giochi sono oggi cambiati: dalle Barbie alle bambole di Bratz, con i loro corpi anoressici, la loro sessualità aperta e il guardaroba da urlo. In America il sito web di Bratz è una vera e propria comunità online in cui i bambini possono giocare e acquistare cose per le loro bambole nel cyberspazio, insieme ad altri bambini connessi. Le riviste per i più piccoli (Disney Girl, Total Girl, Barbie Magazine, Cioè) rischiano di essere versioni infantili di quelle per adolescenti e adulti, e sembrano segnare un sostanziale cambiamento nella cultura dell’infanzia. Nonostante sia facile intuire come una simile proposta, centrata sull’aspetto come punto forte del gioco, porti ad evidenti influenze sullo shopping e quindi sul mercato (Ward, 2003; Reichert, 2007) è doveroso chiedersi che tipo di impatto ha tutto questo sulla popolazione infantile. 

Il tema della sessualizzazione culturale è così importante che è divenuto l’argomento di numerose pubblicazioni apparse in riviste peer review e di report richiesti da agenzie governative oppure redatti da queste o ancora pubblicati da enti riconosciuti a livello nazionale. Il problema non è infatti solo morale o culturale: numerose ricerche hanno evidenziato i danni psicologici di questa esposizione sessuale ormai pervasiva. Le ricerche, infatti, evidenziano tra tanti i seguenti effetti:

  • l’esposizione al tipo di corpo “sottile e tonico” ideale è associato allo sviluppo di disturbi alimentari;
  • è ampiamente riconosciuto che le preoccupazioni di immagine del corpo costituiscono una barriera alla partecipazione delle ragazze adolescenti alle attività sportive;
  • la precoce esposizione porta i bambini ad usare il comportamento sessuale come strategia per attirare l’attenzione;
  • dove si presenta un aspetto sessualizzato in larga misura tra le preoccupazioni dei bambini, ciò rischia di distorcere o addirittura sostituire la loro attenzione ad altre aree del loro sviluppo cognitivo, fisico, artistico ed etico;
  • i bambini possono essere incoraggiati ad avviare il comportamento sessuale in un’età più recente, ben prima che possano conoscere pienamente le conseguenze potenziali (sesso indesiderato, MTS);
  • i bambini sono precocemente introdotti nel linguaggio sensuale e sessuale (Linn, 2009), a scapito di investimenti motivazionali ed emotivi del pensiero nella curiosità e nell’esplorazione, nell’autonomia e nelle abilità sociali e morali.

La rilevazione di questo tipo di dati ci interroga sicuramente: tutti gli strumenti mediatici inviano messaggi, innanzitutto noi adulti dobbiamo esser vigili sulla qualità e la tipologia dei contenuti che arrivano ai nostri figli. Inoltre, è importante chiederci come tutelare i nostri figli? Che tipo di supporti fornirgli, come aiutarli a interagire con simili dati?




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