Guerra in Ucraina

Ucraina: una notizia che non fa più notizia

L’ultimo rapporto dell’Onu parla di donne violentate e barbaramente uccise. Un male che sembra aver creato assuefazione, rassegnazione e… disinteresse. Una vergogna è stata non riuscire ad impedire che la guerra scoppiasse, ma perché nessuno ancora riesce a fermare questo massacro?

È proprio vero, il male crea assuefazione. Ho potuto tristemente constatarlo guardando la reazione delle mie figlie di fronte alla straziante telecronaca della guerra in Ucraina. All’inizio, quando i racconti dei profughi, delle bombe rompevano la nostra tranquilla routine, i loro volti erano disorientati, scandalizzati, impauriti… delusi. 

Nei loro occhi la fiducia nella società sembrava essere crollata a pezzi come i palazzi diroccati delle città ucraine. Non si rassegnavano all’idea che un padre dovesse salutari i propri figli, che i bambini dovessero soffrire così tanto. Il racconto dell’inferno, il suono stridulo delle sirene sembrava piombare dentro casa ad ogni telegiornale. Poi è passato il tempo, 127 giorni per la precisione. Ormai non si contano più i cadaveri, le vittime, i profughi, tutto inghiottito dalla nube tossica dello spettro della guerra riesumato da un passato poco glorioso. 

Intanto, mi sono accorta, che anche la cronaca sembra essersi stancata di raccontare l’orrore. I talk show serali o pre-serali se ne occupano sempre meno, i tg dedicano qualche servizio qua e là: infondo il dolore è di chi lo vive, non di chi passa e se ne va. Nella vita ci si abitua a tutto nel bene o nel male, in definitiva la guerra non fa più notizia. Anche le mie figlie assistono inermi. I loro occhi sembra aver smesso di chiedersi perché, perché nessuno interviene, perché non si riesce a dialogare, perché una qualsiasi ragion di stato è più importante di tutte le vite lasciate a terra. Si sono semplicemente rassegnate all’idea che va così e non sappiamo fino a quando andrà così. 

Il 15 maggio 2022 la Missione Onu di monitoraggio dei diritti umani (Hrmmu) era a conoscenza di 108 denunce di abusi sessuali contro donne adulte, ragazze minorenni, uomini e adolescenti in particolare nelle regioni di Chernihiv, Dnipro, Donetsk, Kharkiv, Kyiv, Kherson, Luhansk, Mykolaiv, Vinnytsia, Zaporizhzhia, Zhytomyr e in un centro di detenzione nella Federazione Russa. Sono passati giorni e mesi, il massacro è ancora in corso e noi siamo qui a parlarne come quando è iniziata la guerra. Una vergogna è che questa sia iniziata, un’altra è che non la si sia ancora fermata. 

Leggi anche: Stupri in Ucraina, quando l’inferno mostra il suo volto

Secondo il Rapporto dell’Onu lo stupro sembra essere la brutalità top di gamma in Ucraina e che conosce varie modalità di applicazione: stupro, stupro di gruppo, tortura, spogliarello pubblico forzato, minacce di violenza sessuale e altre forme di violenza sessuale. Nessuno ha provveduto a fermare questo scempio nemmeno i superiori gerarchici presenti sul campo. Sui corpi di numerose donne gettate nelle fosse comuni sono stati trovati i segni delle violenze spesso inflitte fino a uccidere. I presunti autori provenivano «dai ranghi delle forze armate russe in 87 casi; dai ranghi di gruppi armati affiliati alla Russia in 2 casi; dai ranghi delle forze armate ucraine, compresa la difesa territoriale, in 9 casi».

Il rapporto documenta le uccisioni illegali, comprese le esecuzioni sommarie di civili in una trentina di insediamenti nelle regioni di Kiev, Chernihiv, Kharkiv e Sumy, commesse dalle forze armate russe mentre controllavano queste aree tra la fine di febbraio e marzo. Nella sola Bucha, definita a suo tempo come «scena del crimine a cielo aperto», la missione Onu ha verificato che almeno 50 civili sono stati uccisi dalle forze armate russe. In totale sono stati documentati anche 248 casi di detenzione arbitraria di rappresentanti delle autorità locali, giornalisti e attivisti. Dal 24 febbraio al 15 maggio 2022 gli investigatori hanno potuto accertare 8.368 casi di civili colpiti: 3.924 persone uccise e 4.444 feriti.Ovviamente si tratta di cifre arrotondate per difetto, dato che il concerto delle armi è ancora in corso e non è possibile verificare cosa nasconde il cielo dell’Ucraina al momento. Un sinistro sesto senso mi dice che una terribile e ancora più sconcertate verità si rivelerà a conflitto finito, come accadde per la Seconda Guerra Mondiale, come è sempre accaduto. Quando cioè non sarà più possibile tornare indietro. Avremo altre mura tappezzate di foto delle vittime, altri Auschwitz per non dimenticare. E intanto l’odio, la rabbia, la paura, l’insicurezza sociale si saranno infiltrati nei cuori dei nostri ragazzi come un veleno mortale, abituandoli all’idea del male.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



Ida Giangrande

Ida Giangrande, 1979, è nata a Palestrina (RM) e attualmente vive a Napoli. Sposata e madre di due figlie, è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II. Ha iniziato a scrivere per il giornale locale del paese in cui vive e attualmente collabora con la rivista Punto Famiglia. Appassionata di storia, letteratura e teatro, è specializzata in Studi Italianistici e Glottodidattici. Ha pubblicato il romanzo Sangue indiano (Edizioni Il Filo, 2010) e Ti ho visto nel buio (Editrice Punto famiglia, 2014).

ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.