Maternità

Cosa succede ad un bambino di quattro anni quando perde la madre? Teresa ha vissuto anche questo

Santi Luigi e Zelia Martin

In questi giorni la Chiesa ci chiede di contemplare i santi Luigi e Zelia Martin, genitori di santa Teresa di Gesù Bambino. Quanta umanità nelle pagine della loro vita. Anche Zelia, come tante donne, ha combattuto contro un male incurabile. Il Cielo l’ha chiamata a sé che Teresa era ancora piccola. Ma il dolore del distacco è stato compensato dal sorriso di un’altra madre, quella celeste.  

Un tumore al seno se l’era portata via che lei ne aveva ancora tanto bisogno. Pur essendo ancora così piccola, Teresina, aveva visto sua madre combattere coraggiosamente contro quella malattia tanto moderna e ostinata. L’aveva vista pregare e affidarsi per poi addormentarsi per sempre. Quando succede tutto questo, Teresa ha solo quattro anni. Solo quattro anni. Sono troppo pochi per perdere una madre. Cos’è un bambino di quattro anni senza la sua mamma? Cosa prova quando un bene così grande gli viene portato via all’improvviso? Ci sono braccia che possono riempire quel vuoto? Ci sono carezze che possono sostituire quelle di una madre?

È una storia di ordinaria amministrazione per noi donne e uomini di oggi e per i figli del nostro tempo. Una spada di Damocle che pende sulle teste di ognuno di noi. Viviamo di veleno e moriamo avvelenati. Quanti bimbi piangono le loro madri? Quante madri piangono i loro figli? Quanto dolore negli ospedali traboccanti ancora più oggi che a causa del Covid, la lotta contro il tumore sembra essere rallentata. E il ritornello è sempre uguale, lo smarrimento di un motivo inquietante che si ripete identico a sé stesso, che passa attraverso il colore della chemioterapia, e nella speranza della guarigione, aggiunge dolore al dolore. Mortificazione dell’anima e del corpo e quella speranza che sembra diventare sempre più lontana, scacciata e svilita dalla paura, dai conati di vomito, dal senso di fiacchezza. Il corpo è aggredito e dilaniato e l’anima spesso, si frantuma in mille piccoli pezzi, fino a diventare polvere. 

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Certo quando santa Zelia è tornata alla dimora eterna, la piccola Teresa non era sola. Aveva quattro sorelle che la precedevano in età e sapienza. Tra loro c’era Celina, la sua compagna di giochi, l’anima gemella, amica di mille avventure colorate e poi Paolina. Paolina, la sorella, che negli anni riuscirà a cospargere di balsamo le ferite del suo cuoricino. Che diventerà il suo punto di riferimento materno, colei a cui aggrapparsi nelle notti insonne. E poi all’improvviso ecco la chiamata al Carmelo e anche Paolina se ne va. 

Come può un’anima umana restare indifferente a tanti distacchi? Il dolore spesso rimane dentro, in quella zona misteriosa che segna il confine tra le mente e l’anima. Sembra che non ci sia più se non un ricordo pallido di un avvenimento triste o drammatico e invece, all’improvviso, eccolo venire fuori in tutta la sua potenza e prepotenza. Cominci a stare male e non sai perché. Ti accanisci sul mondo, sul tempo, sulle persone che ti girano intorno e ti sembra di scivolare lungo un canalone viscido che ha preso il posto della tua vita. Si chiama depressione ed è una delle facce della disperazione. La tristezza negli occhi, la morte nel cuore, un giorno senza cielo, un’ora senza tempo, in cui non c’è più battito o aurora, ma solo notte, buio. Notte e buio.

Niente paura! Anche Teresa ha vissuto tutto questo. Lei, una Santa, ci ha preceduti e ci ha indicato la via, non un ansiolitico o uno psicofarmaco, ma il sorriso, un sorriso speciale, quello della Vergine Maria. È Teresa a ricordare quest’episodio della sua vita nella Storia di un’anima quando dice: “Non trovando soccorso sulla terra, la povera Teresa si era rivolta anche lei alla Madre del Cielo, la pregava con tutto il cuore perché avesse pietà di lei. Ad un tratto la Vergine Santa mi apparve bella, tanto bella, che non avevo visto mai cosa bella a tal segno, il suo viso ispirava bontà e tenerezza ineffabili, ma quello che mi penetrò tutta l’anima fu il sorriso stupendo della Madonna. Allora tutte le mie sofferenza svanirono, delle grosse lacrime mi bagnarono le guance, ma erano lacrime di una gioia senza ombre. Ah, pensai, la Vergine Santa mi ha sorriso, come sono felice!”. 

Ritrovare la “gioia senza ombre”, per una persona che soffre di depressione, deve essere come tornare a nascere.  Guardare il sole che sorge per la prima volta, sentire la frescura del mattino che scaccia via le nubi dal cielo e preannuncia l’imminente incedere del giorno. Tutto lì, racchiuso nella primigenia freschezza di un sorriso. 

E allora sì è possibile annunciare la bellezza del tempo e della storia che si rigenera anche attraverso la morte, perché grazie a quel sorriso, comprendo che alla morte consegue la resurrezione e non c’è più tristezza o disperazione, lì c’è solo un sorriso: il sorriso che risplende attraverso la Vergine.

Secondo l’Istat la depressione è il disturbo mentale più diffuso: si stima che in Italia nel 2015 fossero 2,8 milioni (5,4% delle persone di 15 anni e più) coloro che ne hanno sofferto e siano 1,3 milioni (2,5%) coloro che hanno presentato i sintomi della depressione maggiore nelle due settimane precedenti l’intervista.

Uno studio condotto all’inizio del 2021 da un consorzio di psichiatri, esperti di sanità pubblica e biostatistici dell’Istituto Superiore di Sanità, delle Università di Genova e di Pavia, dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS ci offre una panoramica della situazione dei disturbi di ansia e depressione dopo il primo anno di pandemia. Su un campione rappresentativo di oltre 6000 soggetti oltre il 40% degli italiani ha riportato un peggioramento dei sintomi ansiosi e depressivi durante il lockdown, con un significativo peggioramento della qualità di vita comprese alterazioni del sonno, in più del 30% dei soggetti. In aumento il consumo di ansiolitici (il 20%) rispetto al periodo precedente al lockdown.

Siamo tutti impegnati nella ricerca di un antidoto alla depressione. Come sempre, bussiamo alla porta della Scienza una cosa buona e giusta, ma dimentichiamo la porta della fede. L’abbiamo talmente accantonata che ormai sembra essere stata cancellata dalle nostre esistenze eppure, le testimonianze dei santi ci dicono che la fede è la porta della vita e che anzi senza la fede la vita non ha più senso. Sarà questo il motivo per cui i casi di depressione aumentano di giorno in giorno? Perché abbiamo perso la fede e di riflesso il senso della vita?  




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Ida Giangrande

Ida Giangrande, 1979, è nata a Palestrina (RM) e attualmente vive a Napoli. Sposata e madre di due figlie, è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II. Ha iniziato a scrivere per il giornale locale del paese in cui vive e attualmente collabora con la rivista Punto Famiglia. Appassionata di storia, letteratura e teatro, è specializzata in Studi Italianistici e Glottodidattici. Ha pubblicato il romanzo Sangue indiano (Edizioni Il Filo, 2010) e Ti ho visto nel buio (Editrice Punto famiglia, 2014).

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