Donna

Belén Rodriguez, Diletta Leotta e l’ipocrisia del sessimo

Ti piace vincere facile? Semplicissimo vai dal chirurgo estetico, gonfia qua, taglia là e sarai anche tu una piccola Belén. E se a questo aggiungi la storiella con un calciatore o con un uomo di quelli davvero “cool” il gioco è fatto. Ma quale messaggio stiamo trasmettendo? Non è “sessista” questo modo di presentare la donna?

In estate, si sa, complice mare e sole, si moltiplicano le copertine in salsa “hot” di modelle, attori, attrici e conduttrici. A guardarle come in una specie di compilation mi sembra di ritrovarmi in una vera e propria galleria degli orrori, dove ad essere rappresentata in maniera iconica è una modello di donna nel quale io stessa e gran parte delle donne di oggi, non si rispecchiano. 

Bambole gonfiate, con labbra ultra carnose, trucchi esagerati, costumini succinti dove niente, ma proprio niente è lasciato all’immaginazione. E se hai speso una bella somma per rifarti il sedere tanto vale che lo metti bene in mostra con un succulento perizoma. Conclusione? Provate a fare un giro nei profili social delle vostre figlie adolescenti e troverete lo stesso stile, la stessa logica nel presentarsi. 

Chi ci ha insegnato a venderci e a svenderci in questo modo? Il pensiero corre subito a Belén Rodriguez, a Diletta Leotta e a tante come loro. Hanno fatto successo usando la capacità attrattiva del corpo femminile. È una scelta? Decisamente sì, una scelta di marketing che nessuno può discuterla, ma il consenso di pubblico che hanno avuto quello sì, mi mette i brividi. 

Dal mio punto di vista, infatti, mi sembra quasi che il loro modo di presentare la donna come un richiamo sessuale per gli uomini voglia dire cancellare secoli di riscatto e di lotta per l’emancipazione sociale. Sì, perché è bene dirlo subito: personaggi come Belén non si sono costruiti da soli, hanno smerciato e lucrato sull’immagine di donna che i nostri uomini vogliono vedere. Il che è molto peggio. 

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Quello che registro da madre di due figlie, è che esiste un subdolo e smodato desiderio di tenere la donna confinata nell’orbita della pornografia. Perché pornografico non è solo un filmetto da quattro soldi ma la violazione di quella intimità che in certi casi, vuol dire dignità

Non voglio giudicare la persona sia chiaro. Non spetta a me e non ho l’autorità per farlo, quello che mi chiedo è se davvero basta così poco per aver successo agli occhi del pubblico soprattutto maschile? Povera me che ho sempre pensato che per stare in televisione fosse necessario avere un talento artistico, di quelli che non fanno della bellezza estetica l’unico patrimonio da offrire. Beninteso non ho nulla contro l’erotismo o il sex appeal. Non sono di quelle che di fronte a una scena di sesso scappa e cambia canale, ma ritengo che cose come il sesso abbiano bisogno di essere saggiamente intrecciate a un orizzonte di senso altrimenti diventano istinto, delirio, gioco. 

Quando si parla di icone di femminilità vorrei vedere rappresentato qualcosa in più di un corpo ben messo e soprattutto nudo. Vorrei vedere il talento, l’intelligenza e sì, certo anche la bellezza di quella che non ha necessità di spogliarsi per apparire, che passa attraverso lo sguardo perché pochi lo riconoscono ma gran parte della sensualità è una questione di sguardi e di classe e quella purtroppo non la puoi acquistare dal chirurgo estetico. Nel mio cuore? Il timore che la lotta femminista si sia lasciata avviluppare dall’ipocrisia del sessismo, una maschera usata ad hoc per ingaggiare la lotta alla parità di genere che, tradotto, spesso vuol dire semplicemente cancellare il genere. Una società che non accetta alcuna etichetta sessista non dovrebbe accogliere una narrazione squisitamente erotica della donna. Questo forse (e dico forse) vuol dire che ci stiamo solo illudendo e che l’emancipazione, quella vera, è ancora lontana. Ma, come sempre, questo è solo il mio parere…




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Ida Giangrande

Ida Giangrande, 1979, è nata a Palestrina (RM) e attualmente vive a Napoli. Sposata e madre di due figlie, è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II. Ha iniziato a scrivere per il giornale locale del paese in cui vive e attualmente collabora con la rivista Punto Famiglia. Appassionata di storia, letteratura e teatro, è specializzata in Studi Italianistici e Glottodidattici. Ha pubblicato il romanzo Sangue indiano (Edizioni Il Filo, 2010) e Ti ho visto nel buio (Editrice Punto famiglia, 2014).

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