Ho 23 anni. Un passato difficile, ma grazie all’adozione ho avuto una nuova possibilità

cuore

a storia di Giada raccontata da Ida Giangrande

Sono nata in Burundi. Abbandonata dai miei genitori e poi adottata da una famiglia italiana. Vorrei mandare un messaggio; nel mondo sono circa 187 milioni i bambini abbandonati. Attendono una possibilità come quella che ho avuto io, perché si parla sempre meno di adozione?

Sono originaria del Burundi. Figlia biologica di non so chi. Sono passata da un orfanotrofio all’altro fino a quando un giorno mi hanno detto: “Mamma e papà sono venuti a prenderti”. La suorina che dirigeva il collegio, mi ha presa per mano e mi ha condotta da loro. Due volti sorridenti e commossi, con la pelle bianca mi hanno stretta forte e mi hanno portata via dall’anonimato. Mi hanno dato un nome e soprattutto un cognome, una casa accogliente e sicura, mi hanno dato affetto, educazione, quello che ogni essere umano dovrebbe ricevere. Ma i miei occhi avevano già visto tanto, forse molto più di quello che un bambino può permettersi di vedere. 

Avevo dieci anni quando la mia vita di colpo è cambiata. Ero solo un nome su una lista lunghissima di altri nomi, lettere che si susseguono senza senso: è così la vita per un bambino abbandonato, che non ha nessun altro al mondo e dipende dal buon cuore di quei pochi istituti che ancora hanno il coraggio di combattere contro la povertà e l’indifferenza politica. Dopotutto nella mia terra è normale vedere frotte di bambini correre sulle strade polverose senza nessun adulto intorno.

Leggi anche: “Perché non vi aprite all’adozione?”

Quando sono arrivata in Italia ero troppo grande per non essere stata toccata dalla disperazione che avevo vissuto e troppo piccola per capire la storia d’amore che mi stava proiettando verso una nuova vita. Mi ci sono voluti anni per adattarmi al nuovo contesto. Per quanto desiderassi una famiglia e una cosa tutta mia, ero interiormente divisa, sapevo che non erano quelle due persone i miei veri genitori. Quelli che mi avevano generata e messa al mondo e per quanto mi affezionassi a loro ogni giorno di più, continuavo a chiedermi perché il mio papà e la mia mamma non mi avevano voluta. Come dicevo mi ci sono voluti anni per capire. Anni fatti di silenzio e di pianti improvvisi. Di fughe insensate, di ribellioni immotivate. Sono stati gli anni in cui ho imparato a capire chi erano davvero i miei genitori: persone speciali con la straordinaria capacità di attendere i miei tempi nonostante me, per offrirmi risposte che nemmeno sapevo di chiedere. 

Tra le tante cose che non sapevo di mio padre e di mia madre, ce ne era una che mi avrebbe cambiato la vita una seconda volta: avevano saputo di essere sterili all’indomani del matrimonio. La fecondazione assistita poteva rappresentare la soluzione, ma loro non ci hanno mai provato. Perché? La vita non si crea in laboratorio, si accoglie con gioia. E loro erano convinti che la loro bambina o bambino fosse già nato da qualche parte nel mondo e che li stesse aspettando. Così quando è arrivata la telefonata che annunciava l’abbinamento tra me e loro, hanno semplicemente accolto quel figlio donato. Non hanno fatto domande. Non hanno chiesto se avessi problemi di salute, né hanno voluto vedere una mia foto, perché quando nasce un figlio tu non sai come è o a chi somiglia, se è brutto o bello. Sai solo che è tuo figlio e non vedi l’ora di abbracciarlo. Sono partiti per il Burundi e sono venuti a prendermi. I miei genitori forse non mi hanno fatta nascere ma mi hanno decisamente messa al mondo come ci deve stare un essere umano. Mi hanno attesa con amore e accolta allo stesso modo. Non so spiegare cosa sia accaduto in quel momento, dentro di me qualcosa è cambiato. La certezza di essere stata voluta, desiderata così com’ero mi ha fatta sentire improvvisamente pacificata, finalmente tranquilla. Con il tempo sono arrivata a ringraziare i miei genitori biologici per avermi fatta nascere. Fosse stato altrimenti non avrei conosciuto la mia famiglia. E attraverso queste pagine vorrei lanciare un messaggio: Nel mondo sono circa 145 milioni i minori abbandonati. Nel 2010 il dato ha raggiunto quota 163 milioni e nel 2018 si è arrivati a 187. Ciò significa che, in media, ogni anno, ci sono circa tre milioni di bambini abbandonati in più. In ciascuno di loro rivedo lo stesso mio bisogno di essere amata da un padre e una madre. Perché, dunque, l’adozione è un processo sempre più complesso e farraginoso? Perché se ne parla poco? Perché come società civile ce ne occupiamo sempre meno?




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



Ida Giangrande

Ida Giangrande, 1979, è nata a Palestrina (RM) e attualmente vive a Napoli. Sposata e madre di due figlie, è laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II. Ha iniziato a scrivere per il giornale locale del paese in cui vive e attualmente collabora con la rivista Punto Famiglia. Appassionata di storia, letteratura e teatro, è specializzata in Studi Italianistici e Glottodidattici. Ha pubblicato il romanzo Sangue indiano (Edizioni Il Filo, 2010) e Ti ho visto nel buio (Editrice Punto famiglia, 2014).

ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.