28 Luglio 2022

Don Mattia: dov’è il volto materno della Chiesa?

Don Mattia Bernasconi è un nostro fratello nella fede e sacerdote della Chiesa che amiamo. Immagino che domenica mattina mentre decideva con i suoi giovani, al termine di una settimana di riflessione e di preghiera, di celebrare la Santa Eucaristia in spiaggia, o meglio in mare, non aveva idea della confusione e del chiasso che il suo gesto avrebbe avuto. Effettivamente ha peccato di grande ingenuità ma anche di superficialità. E spesso la superficialità è anche frutto di una eccessiva autonomia che in alcune circostanze fa dimenticare ai preti che non sono al vertice di un’organizzazione sociale o economica, che li abilita a decidere arbitrariamente su tutto ma sono al servizio di un popolo. La loro testimonianza è essenziale.

Ha condotto i suoi ragazzi ad una settimana di riflessione sulla legalità, in una regione simbolica e significativa al riguardo ma ha dimenticato le leggi che regolano la liturgia e indicano l’importanza e la centralità della Santa Eucaristia per noi, chiesa di Dio, suo popolo. Avrebbe dovuto fare qualcosa in più. Spingersi a trovare una chiesa dove celebrare – noi al sud ne abbiamo una ogni cinque metri – o aspettare che la pineta dove aveva deciso di celebrare si fosse liberata.

Alla notizia del suo gesto ho ripensato a Giovanni Paolo II. Anche lui come don Mattia era un prete che amava lo sport. Ricordo di avere letto della descrizione del giorno in cui gli è stato comunicato la chiamata all’episcopato. Era in vacanza con i suoi amici. Lascio a lui la parola: “Era l’anno 1958. Con un gruppo di appassionati di canoa mi trovavo sul treno diretto a Olsztyn. Eravamo in procinto di iniziare le vacanze secondo il programma praticato sin dal 1953: una parte delle ferie la passavamo in montagna, il più spesso sui Bieszczady, e una parte ai laghi di Masuria. Nostra meta era il fiume Lyna. Proprio per questo ci trovavamo sul treno diretto a Olsztyn; era il mese di luglio. Rivolgendomi a colui che fungeva da «ammiraglio» – per quel che ricordo era allora Zdzislaw Heydel – dissi: «Zdzislaw, tra poco dovrò lasciare la canoa, perché mi ha chiamato il primate [dopo la morte, nel 1948, del cardinale August Hlond, primate era il cardinale Stefan Wyszynski] e devo presentarmi da lui». L’«ammiraglio» mi rispose: «D’accordo, ci penso io». E così, quando giunse il giorno stabilito, lasciam­mo il gruppo per raggiungere la stazione ferroviaria più vicina, Olsztynek. Sapendo di dovermi presentare al cardinale primate nel corso della traversata sul fiume Lyna, previdentemente avevo lasciato a Varsavia da certi conoscenti la veste talare festiva. Sarebbe stato infatti difficile andare dal primate con la talare che portavo con me durante le spedizioni in canoa (nelle gite avevo sempre con me una veste talare e i paramenti per la celebrazione della Santa Messa) …”.

Il racconto continua ed è ricco di particolari interessanti. All’epoca don Karol aveva 38 anni e solo 12 anni di sacerdozio, era giovane e forte, amava stare con i suoi giovani, celebrava Messa sul kajak rovesciato ma sempre con tutti i paramenti e le necessarie indicazioni. L’amore per l’Eucaristia è uno stile interiore. Le norme liturgiche non esprimono un formalismo del sacro ma i gesti sono anche sostanza ed esprimono quella sensibilità eucaristica che abbiamo decisamente un po’ perso…

Ricordo che nella mia gioventù più che dalle parole, ero colpita da come don Silvio, all’epoca il mio parroco, celebrava la Santa Messa. Ancora oggi dopo quasi 40 anni di sacerdozio rivedo sempre la stessa attenzione. Per noi giovani è stato essenziale nella nostra formazione. In quelle celebrazioni abbiamo sempre percepito che al centro c’era Gesù, non l’uomo. Non è un’esperienza molto comune. Spesso nelle celebrazioni i sacerdoti sono al centro, con omelie lunghe, gridate, show improvvisati…Si perde il gusto del mistero, la consapevolezza di togliere i sandali all’anima perché si è alla presenza del Roveto ardente. Credo sia difficile avere questa coscienza sdraiati nell’acqua con solo il costume addosso. 

Detto questo però, a me la sua lettera di scuse con cui dice: “Chiedo umilmente scusa dal profondo del cuore anche per la confusione generata dalla diffusione mediatica della notizia e delle immagini, non era assolutamente mia intenzione che avesse tale risalto”, è sufficiente. Le pietre lanciate contro di lui sono fuori luogo ed eccessive. Esprimono giudizi che non appartengono alla pedagogia che il nostro Padre celeste ci ha insegnato. Un figlio va rimproverato, non sotterrato sotto il peso del giudizio. Che tanti cattolici inneggino e applaudono alla decisione di iscrivere don Mattia nel registro degli indagati per vilipendio alla religione, è davvero fuori luogo. Don Mattia è stato superficiale ma umile, ha chiesto scusa, certamente il suo Vescovo saprà cosa dire e fare al riguardo. A me questo basta.

Non dobbiamo unirci al coro di quanti gridano e condannano questo giovane prete. Questa violenza dei concetti rivestiti di forma è esattamente quella che ogni buon cristiano dovrebbe condannare ed evitare. Ripenso in queste ore ai giovani che erano con lui. A come si sentiranno in questo momento. Noi adulti abbiamo una responsabilità, sia in un senso (don Mattia) che nell’altro (chi giudica e condanna). Dov’è il volto paterno e materno della Chiesa?


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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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1 risposta su “Don Mattia: dov’è il volto materno della Chiesa?”

Concordo pienamente con quanto scritto nell’articolo. Non bisogna gettare pietre addosso a questo sacerdote, che si è scusato, ma certamente quanto accaduto deve far riflettere su come sia facile, anche per uomini e donne di Chiesa, scadere in scelte arbitrarie che, forse, loro adottano perché credono che in tal modo si avvicinino di più alle persone. Io credo che il sacro debba invece stare “un gradino più su” rispetto a noi, e un conto è farsi vicini alla gente, un altro conto è svalutare il mistero e la sacralità dei riti con la scusa di renderli più “facili” alle persone. Se si tratta di mistero, non è anormale che sia “difficile” e “incomprensibile”, anzi. E volerlo rendere più all’acqua di rose non è certo un bene…

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