Conflitti di coppia

“Non osi l’uomo separare…” Altrimenti tutto finisce in tragedia

crisi

(Foto: stefanolunardi - Shutterstock.com)

di Pierluigi e Mariagiovanna Beretta

La soluzione dei conflitti tra uomini e donne non arriverà dall’affermazione dei diritti degli uni a scapito delle altre, né tantomeno dal negare le differenze tra i sessi. Solo il riconoscimento di un destino di comunione, inscritto nella differenza stessa, potrà restituire senso e speranza.

In un assolato pomeriggio mediterraneo, una giovane madre, abbandonata dall’uomo a cui ha consacrato l’intera vita, sta lucidamente pianificando l’uccisione dei figli nati da questa relazione; solo così, pensa, potrà far sperimentare al suo amato lo stesso “morso nel cuore” di cui lei soffre ora. 

La cronaca ed il mito

Quello che abbiamo riassunto non è il noto fatto di cronaca che ha scosso un lembo di Sicilia e l’intera Italia poche settimane fa; è invece una storia molto più antica, le cui origini si perdono nella tradizione mitologica greca. Si tratta del mito di Medea e Giasone.

Molto ha scritto la stampa recentemente riguardo alla sindrome di Medea. L’opinione pubblica si è interrogata sulle cause di gesti tanto tragici, ricorrendo di volta in volta al parere dello psicologo, dello psichiatra, del criminologo, ecc. Tuttavia riteniamo che il punto di vista degli specialisti, pur necessario, non sia sufficiente, e che sia opportuno rileggere questa tragica vicenda alla luce della rivelazione cristiana, che sola «svela anche pienamente l’uomo all’uomo» (Redemptor Hominis, 8). 

Il mito: uno scorcio sulle profondità del cuore umano

Come è possibile che una storia pensata millenni fa si avveri nuovamente, con una tragica consonanza di circostanze e dettagli, in un piccolo paese di provincia nell’Italia del XXI secolo?

Giovanni Paolo II in una delle sue prime catechesi sulla Teologia del Corpo (19 settembre 1979) riporta alcune definizioni di “mito”, ad opera di diversi autori, che ci aiutano a trovare la risposta. Ci viene spiegato che il mito rivela «la struttura della realtà che è inaccessibile all’indagine razionale ed empirica: il mito infatti trasforma l’evento in categoria e rende capaci di percepire la realtà trascendente». E, ancora, «il mito non conosce i fatti storici e non ne ha bisogno, in quanto descrive ciò che è destino cosmico dell’uomo che è sempre tale e quale».

Il mito, dunque, è sempre attuale perché coglie ciò che sta nascosto nel profondo del cuore umano, di ogni uomo e donna, di qualunque epoca, e travalica i ristretti confini del “misurabile” tipico dei sempre più settoriali specialisti contemporanei. Seguiamo dunque il mito, e vediamo dove ci porta.

Leggi anche: “Il tradimento? Attenzione a banalizzarlo… non aiuta ma aggrava”

La condizione umana senza redenzione: che tragedia!

Secondo la tradizione mitologica, Medea è una donna che, per compiacere l’uomo di cui è follemente innamorata, non esita a farsi complice dei suoi atroci piani di conquista del potere. Con lui fugge dalla sua terra e dal loro matrimonio nascono due figli. Nella mente di Giasone, tuttavia, la fedeltà al patto nuziale non è una priorità: aspirando alla successione al trono di Corinto, città in cui risiedono, decide di ripudiare Medea per sposare la figlia del re. 

La versione del mito che ci è stata tramandata dal drammaturgo ateniese Euripide (V secolo a.C.)  inizia proprio in questo momento e dipinge con grande efficacia il travaglio interiore di Medea: si ritrova sola e abbandonata in terra straniera, sfacciatamente tradita dall’uomo in cui aveva riposto tutta la sua fiducia: «L’uomo che era la mia vita, lo sposo mio, è per me il più vile degli uomini». 

Aveva tagliato tutti gli altri legami sperando in un unico grande legame eterno con il suo sposo ma, venuta meno questa relazione su cui tutto aveva investito, Medea si sente ora come morta, di una morte non fisica, ma spirituale: «Se l’uomo accetta il legame della vita in comune senza malanimo, felice è allora l’esistenza! Altrimenti, meglio morire».

La morte chiama morte: senza una prospettiva di redenzione e perdono, l’unica soluzione “giusta”, umanamente parlando, rimane la vendetta. Nell’opera teatrale questa vendetta si compirà ad opera di Medea, che farà terra bruciata attorno al suo sposo, uccidendone i figli, la futura sposa ed il padre di questa, con l’unica motivazione di far provare a Giasone lo stesso strazio che lei prova.

Due individui, soli

Alle lamentazioni di Medea sull’amore tradito ed abbandonato, Giasone non sa fare altro che addurre motivazioni utilitaristiche ed egoistiche, incentrate sui vantaggi per il suo prestigio e per il tenore di vita dei figli che il nuovo matrimonio porterà. Medea e Giasone sono due individui, incapaci di trovare un punto di incontro al di fuori dei loro interessi. Medea non aveva esitato a compiere orrendi crimini contro la sua famiglia per compiacere la sua attrazione verso Giasone; ora Giasone non esita a tradire la moglie per compiacere la sua sete di potere, ricchezza e piacere. La relazione tra loro nasce e si sviluppa esclusivamente ai fini di soddisfare le passioni dei singoli; quando queste divergono, ecco che l’amore si trasforma in… tragedia. 

Tale amara constatazione viene esplicitata da un personaggio secondario (il precettore dei figli) all’inizio dell’opera: «Così sono gli uomini: ognuno al prossimo suo preferisce sé stesso».

La legge degli uomini…

Ai tempi in cui l’opera è stata scritta (circa 450 a.C.), la legge ateniese prevedeva il ripudio della moglie da parte dell’uomo, e la trama muove i suoi primi passi da un atto di questa specie; nel testo è tuttavia evidente l’intenzione dell’Autore di mostrare l’indissolubile contrasto tra la rottura legalizzata del patto coniugale ed il desiderio di eternità di cui la passione amorosa (eros) è segno (per approfondimenti sul tema rimandiamo a Benedetto XVI, Deus caritas est, n°6). L’ingiustizia insita nel ripudio è dichiarata in modo eloquente in una battuta riservata al coro: «Giasone, mi sembra che tu, tradendo la tua sposa, non fai cosa giusta».

…ed il sogno originario di Dio

Questa lettura della tragedia richiama in maniera sbalorditiva una delle dispute di Gesù con i farisei, riportata dai Vangeli di Matteo e di Marco. Rispondendo ad una domanda di tipo legalistico, Gesù invita i suoi interlocutori non a fermarsi alla ricerca di scorciatoie legali “caso per caso”, ma a guardare invece al “sogno di Dio” sull’amore umano, come descritto nel capitolo 2 di Genesi: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». (Mt 19,3ss.; cf. Mc 10,2ss.)

Proprio con questo brano dei Vangeli, Giovanni Paolo II diede inizio alla sua riflessione sull’amore umano nel piano divino, commentandolo così: «Quel “non lo separi” è determinante. Alla luce di questa parola di Cristo, la Genesi 2,24 enuncia il principio dell’unità e indissolubilità del matrimonio come il contenuto stesso della parola di Dio, espressa nella più antica rivelazione». (Giovanni Paolo II, catechesi del 5 settembre 1979)

Come intuito anche da Euripide e dalla cultura greca pre-cristiana, anche le parole di Gesù evidenziano lo scarto tra la legge di indissolubilità inscritta da Dio nel cuore di ciascun uomo e donna, e la “la durezza del cuore” dell’umanità soggetta al dominio del peccato, il cosiddetto “uomo storico”.

La differenza radicale tra mito e rivelazione

C’è però una differenza sostanziale tra la tragedia greca e la Rivelazione giudaico-cristiana: nella tragedia di Euripide, il desiderio di amore eterno ed esclusivo inscritto nel cuore risulta sistematicamente perdente di fronte alla malvagità dell’animo umano. Il pessimismo sul destino dell’amore umano è totale in Medea, così come nella maggior parte dei commenti mediatici dei nostri giorni: non c’è possibilità di salvezza, perché non c’è né perdono né sacrificio personale. Nella cultura dominante nostra contemporanea, questa visione pessimista si esprime attraverso la radicalizzazione dello scontro uomo-donna. La Rivelazione non si ferma invece a questa constatazione, ma va oltre.

L’alleanza uomo-donna, unica via di salvezza

«Quando Cristo, secondo il capitolo 19 di Matteo, si richiama al “principio”, con questa espressione egli non indica soltanto lo stato di innocenza originaria quale orizzonte perduto dell’esistenza umana nella storia. Alle parole, che egli pronunzia proprio con la sua bocca, abbiamo il diritto di attribuire contemporaneamente tutta l’eloquenza del mistero della redenzione». (Giovanni Paolo II, catechesi del 26 settembre 1979)

Cristo è venuto per darci una prospettiva di redenzione: ristabilendo l’alleanza tra Dio e gli uomini in modo nuovo, Egli ci dà l’opportunità di lasciare gli inganni dell’autodeterminazione e della contrapposizione uomo/donna, tanto cara alla cultura odierna, per costruire una via di alleanza tra maschile e femminile.

Lasciamo ancora la parola a Wojtyła: «Nella loro reciprocità sponsale e feconda, nel loro comune compito di dominare e assoggettare la terra, la donna e l’uomo non riflettono un’uguaglianza statica e omologante, ma nemmeno una differenza abissale e inesorabilmente conflittuale: il loro rapporto più naturale, rispondente al disegno di Dio, è l’«unità dei due», ossia una «unidualità» relazionale, che consente a ciascuno di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono arricchente e responsabilizzante». (Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 29 giugno 1995)

Cari Medea e Giasone…

La soluzione dei conflitti tra uomini e donne non arriverà dall’affermazione dei diritti degli uni a scapito delle altre, né tantomeno dal negare le differenze tra i sessi. Solo il riconoscimento di un destino di comunione, inscritto nella differenza stessa, potrà restituire senso e speranza ad ogni Medea e ad ogni Giasone di questo nostro tempo.




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1 risposta su ““Non osi l’uomo separare…” Altrimenti tutto finisce in tragedia”

Molto bello, grazie. I riferimenti a Papa Wojtyla sono importanti, lui che iniziò il suo servizio alla Chiesa parlando dell’amore umano fra uomo e donna e che aveva anticipato nel libro “Amore e responsabilità. Che è un testo da studiare e per quei tempi, ma non solo, una luce intramontabile.

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