Maschile e femminile

Peppa Pig e la coppia formata da due mamme

Quando i miei figli diventeranno grandi, con buona pace di Peppa e dei suoi disegnatori, dirò loro che il sesso è un dono ed è una realtà che ci è data. Che i figli nascono dalla reciproca donazione di due persone che si amano. Cosa comporterà togliere al sesso la sua funzione generativa, metterla tra parentesi e raccontare ai piccoli che i bambini si possono anche comprare, che basta che una donna presti il suo corpo (come se fosse un’auto) o si metta in affitto (come un appartamento)?

Chi non ha mai sentito parlare di Peppa Pig? Vuoi per l’apporto significativo che, come è noto, offre nell’educazione dei piccoli con i suoi contenuti altamente formativi, vuoi per le immagini stilizzate inconfondibili e artisticamente considerevoli. Scherzi a parte, parlando come genitore, devo dire che se Peppa Pig non fosse più trasmessa, per una qualsivoglia ragione, la perdita sarebbe facilmente superabile. I contenuti non hanno spessore, i fatti si susseguono talvolta in modo surreale, altre volte semplicemente in modo banale.

Non l’ho mai considerata pericolosa (se escludiamo che istiga i bambini a saltare sulle pozzanghere di fango una puntata sì e una no), anzi, in un paio di occasioni mi ha perfino aiutato a far mangiare ai piccoli un po’ di verdura (è stata lei a insegnarci che occorre ingerire cinque porzioni di frutta o verdura al giorno). Però prediligo senz’altro altri cartoni animati per aiutare i miei figli a gestire le loro emozioni, i rapporti con il prossimo, le piccole e grandi sconfitte che affrontano.

Stento ancora a credere che proprio questo cartone sia diventato per molti il portabandiera di messaggi “importanti e inclusivi”. Oggi, in piena campagna elettorale, è diventato simbolo della lotta per i diritti lgbt+ per il coraggio di presentare due donne lesbiche: o meglio, due mamme… una famiglia arcobaleno. La puntata incriminata non è ancora andata in onda in Italia, ma alcuni partiti stanno già chiedendo alla Rai di impedire che questo avvenga nei prossimi mesi.

“Il mondo sta cambiando”, mi hanno detto. I nostri figli vivranno in un’era in cui sarà considerato normale che la famiglia si fonda sull’affetto, non sulla natura. Sulla volontà ed il sentimento, senza alcun legame con la biologia o la differenza tra i sessi. Il mondo cambia, sì, e va in questa direzione.

Eppure, mi riservo la possibilità di pensare che la famiglia non è e non può essere una nostra invenzione, né un costrutto sociale, perché il modo stesso in cui si origina la vita non lo abbiamo inventato noi: possiamo solo prenderne atto. La vita ha le sue regole, ben conosciute anche da chi cerca di scavalcarle. Siamo sicuri che non abbia conseguenze raggirarle come se non contassero nulla? 

Mentre rifletto su questo, cerco di godermi la spontaneità dei miei bambini, di vedere come essi ragionano sulle grandi questioni. Sulla loro origine. Perché i bambini sono maestri. Loro ci insegnano a guardare il mondo con le lenti della verità. Mio figlio di cinque anni, senza che io l’avessi fatto per prima, mi ha detto che la sorella è femmina e che “da grande potrà portare in pancia un bimbo” come me. Mentre lui no: “Io sono un maschio, come babbo, i maschi non fanno i bambini!”. Cose a cui è arrivato da solo, visto che per me e per il padre era ancora “troppo piccolo per queste cose” e per parlarne. L’unica cosa che ho detto ai miei figli è che sono stati nella mia pancia, mentre il papà è stato il primo a prenderli in braccio e a far loro il bagnetto. 

Quando diventeranno grandi, con buona pace di Peppa e dei suoi disegnatori, dirò loro che il sesso è un dono ed è una realtà che ci è data. Che i figli nascono dalla reciproca donazione di due persone che si amano. Cosa comporterà togliere al sesso la sua funzione generativa, metterla tra parentesi e raccontare ai piccoli che i bambini si possono anche comprare, che basta che una donna presti il suo corpo (come se fosse un’auto) o si metta in affitto (come un appartamento)?

Che conseguenze avrà pensare che i bambini non sono doni da accogliere ma diritti da soddisfare? Un figlio non è un diritto. Non lo è neppure per le coppie eterosessuali. Eppure, quante volte facciamo credere ai figli che sono nostri, che ci appartengono? Quante bugie… come dice Chiara Corbella nulla ci appartiene. Tutto è dono. La vita non può che essere dono, altrimenti siamo cose. E le cose si usano. Non si amano.

Non molto tempo fa ho letto un libro: Generato non creato, del giovane Simone Tropea, giornalista scientifico, classe ’93. Egli, criticando la pratica dell’utero in affitto, si sofferma sul legame madre-figlio, citando testi come Maternal Care and Mental Health di J. Bowlby, medico che curò un documento per l’OMS sul tema della maternità e dell’attaccamento del neonato alla madre,

“Con Bowlby – spiega Tropea – attraverso un approccio scientifico integrato, la scienza contemporanea afferma definitivamente che l’esperienza psichica fondamentale, per ogni individuo umano, è la relazione con la madre. Una relazione pre-culturale, che può risultare ferita o negativamente compromessa, quando viene alterata da un contesto storico e sociale, o da un evento biografico, che produce uno strappo violento e innaturale tra genetrix e generatus, trasformandosi così nell’origine inconscia di molte patologie psichiche e fisiche”.

La separazione dalla madre deve essere graduale, spiega. “Se questa separazione non avvenisse in maniera graduale, in maniera tale che il soggetto sia progressivamente in grado di interiorizzarla, riconoscendo in modo positivo ciò che questa separazione significa per la costruzione della sua identità, ovvero l’unica condizione possibile per l’originalità, allora ecco che neppure si uscirebbe dal paradigma edipico”.

Ogni pratica con cui si neghi volontariamente il legame originario tra madre e figlio non è nell’interesse né della donna, né del bambino coinvolti, ma rivela piuttosto come siamo ancora intrisi di una mentalità tecno-maschilista, che vede la donna come una “cosa”, una “macchina da figli” e non la rispetta come persona. La vede nella sua “utilità” (“servi per generare”) e non la “contempla” quale tempio sacro e inviolabile della vita.

Capisco bene che nel mondo sono tante le coppie omosessuali che riescono ad ottenere l’adozione – o l’acquisto di bambini, appunto. 

So che dovremo raccontare questo ai nostri ragazzi. Sono fermamente convinta che i bambini di queste coppie hanno diritto ad essere amati senza discriminazioni e so bene pure che ci sono tante famiglie formate da eterosessuali che non stanno in piedi, che producono sofferenze se non perfino morte in alcuni casi. Non basta essere un uomo e una donna per essere genitori.

Il punto è che, senza offendere nessuno, io nell’unione tra maschile e femminile per portare vita nel mondo ci credo ancora. Peppa Pig può presentarmi una via diversa, ma io vorrei avere la stessa libertà degli autori nel dire ai miei figli che la vita ha origine nel mistero della comunione intima e profonda di due sposi. A mio modesto modo di vedere, qualunque alternativa all’amore coniugale per originare la vita è una bugia e come tutte le bugie prima poi verrà smascherata.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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