Il Vangelo letto in famiglia

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno C – 18 settembre 2022

Quanti debiti Dio ha cancellato a ciascuno di noi?

Nel momento in cui alziamo gli occhi dalla nostra cecità, dalla nostra superbia, dal nostro orgoglio, dal nostro attaccamento alle cose materiali, e comprendiamo che l’amore di un fratello, di un cugino o di un parente, vale più dell’eredità, oppure quando apriamo gli occhi e capiamo che l’amore di un figlio vale più della sua disobbedienza, che l’amore di un marito vale più della tentazione di cominciare una relazione extraconiugale, ecco che stiamo amministrando bene l’immensa ricchezza che Dio ci ha donato.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,10-13)
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

IL COMMENTO

di don Gianluca Coppola

Ogni volta che mi fermo a meditare sul Vangelo di questa domenica mi viene in mente una preghiera di un Padre del deserto. I Padri del deserto sono degli uomini, perlopiù monaci, che ad un tratto, nella loro vita, hanno sentito l’anelito fortissimo di donare la loro intera esistenza al Signore e di ritirarsi nel deserto, dedicandosi unicamente alla preghiera. La supplica di uno di questi Padri così recita: «Signore, permettimi di amarti almeno quanto amo il mio peccato». È una richiesta sconvolgente, perché implica che nel nostro cuore c’è una predisposizione ad amare il peccato. Ma da dove nasce tale predisposizione? Essa nasce nel momento in cui l’essere umano decide di disobbedire al Signore. In Genesi, il racconto teologico di Adamo ed Eva ha un significato ben preciso, e cioè che Dio pone all’uomo un limite; Dio sottolinea che, per restare in comunione con Lui, per continuare a vivere nella felicità, esiste un limite, che si chiama albero della conoscenza e che non può essere toccato. Eppure, l’umanità tutta ha deciso di ignorare tale limite e di relegare il Padre nei cieli, come se le faccende della Terra fossero prettamente umane, come se gli uomini ne capissero di più, sapessero fare a modo loro. È proprio da questo atteggiamento che scaturisce il costante desiderio del male. Perfino San Paolo lo afferma: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio».

Nel Vangelo di questa domenica, Gesù si sofferma sul tema della ricchezza disonesta.  In cosa consiste? Per definizione, la ricchezza disonesta è quella che non ci siamo guadagnati. Eppure, per nascere, noi non abbiamo fatto nessun servizio a Dio, nessun favore, non abbiamo lavorato per Lui; il dono immenso della vita lo riceviamo da Dio gratuitamente ed è un dono che, appunto, non ci siamo guadagnati. Allora, vedete, fuor di metafora, la ricchezza “disonesta” è tutto quello che Dio ci ha dato. L’unica cosa veramente nostra è la volontà di fare il male, l’unica cosa propriamente umana è la scelta, o meglio, la libertà di scegliere tra il bene e il male. Tutto il resto, tutto ciò che siamo è di Dio e dunque è una ricchezza disonesta della quale noi non siamo i padroni ma, come dice la parabola, soltanto gli amministratori.  Infatti, l’amministratore non è il proprietario, ma colui al quale è stato affidato un bene perché lo faccia fruttificare. Gesù, nel Vangelo, svela anche il modo con cui questo bene fruttifica: affinché dia il suo frutto, infatti, tale bene deve essere restituito. San Francesco e i primi francescani, nella Regola, stabilirono la teologia della restituzione, affermando che tutto quello che ci è stato dato da Dio deve tornare ai fratelli e a Dio stesso. Ed è proprio ciò che sta dicendo Gesù nel Vangelo, di qui viene questa regola francescana.

Anche noi, sicuramente, abbiamo dei creditori, e attenzione, non parlo soltanto di soldi o di questioni materiali. Con quante persone, in questo momento, abbiamo dei debiti o quante persone hanno debiti con noi, ma soprattutto, quanti debiti Dio ha cancellato a ciascuno di noi? Dinanzi a questa pagina del Vangelo è inutile essere perbenisti, perché siamo tutti peccatori. Eppure, quante volte il Signore ci ha perdonato, ha condonato i nostri debiti, ci ha riaccolto, ci ha rialzato, ci ha ripulito dalle nostre colpe? E allora, perché non dovremmo fare lo stesso con i nostri fratelli? In un’altra pagina del Vangelo, un giorno un giovane si avvicina a Gesù e gli chiede: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gesù gli risponde: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso». La sua risposta sembra di una semplicità disarmante, come se fosse semplice amare Dio e il prossimo. Ma come si fa a farlo? Proprio mettendo tutto ciò che siamo e tutto ciò che abbiamo a servizio dei fratelli e a servizio di Dio; soltanto allora vedrete come cambia ogni cosa: cambia la vita, cambia il quartiere, cambia la famiglia, tutto!

Nel momento in cui alziamo gli occhi dalla nostra cecità, dalla nostra superbia, dal nostro orgoglio, dal nostro attaccamento alle cose materiali, e comprendiamo che l’amore di un fratello, di un cugino o di un parente, vale più dell’eredità, oppure quando apriamo gli occhi e capiamo che l’amore di un figlio vale più della sua disobbedienza, che l’amore di un marito vale più della tentazione di cominciare una relazione extraconiugale, ecco che stiamo amministrando bene l’immensa ricchezza che Dio ci ha donato. Uscendo dalle nostre chiese, allora, dobbiamo prendere una ferma decisione, ovvero quella di stabilire di voler restituire a Dio tutto ciò che abbiamo, perché è suo.

Quante cose affollano il nostro cuore, quanti idoli; che cos’è che ci impedisce di restituire ciò che siamo, ciò che abbiamo, ai fratelli e al Signore? Il nostro cuore è terribilmente attaccato a cose deleterie, ma come sarebbe bello, come saremmo liberi se il nostro cuore si aggrappasse unicamente al Signore. Allora sì, vivremmo davvero nella libertà piena, che non è uscire di casa e fare tutto ciò che si vuole senza il minimo rispetto per gli altri. La libertà vera consiste nell’avere un cuore non attaccato a nulla se non all’amore di Dio, un cuore che vola. Chiediamo, allora, al Signore il coraggio di restituire a Lui, attraverso i fratelli, tutto ciò che ci ha donato.




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Gianluca Coppola

Gianluca Coppola (1982) è presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato Dalla sopravvivenza alla vita. Lettere di un prete ai giovani sulle domande essenziali (2019) e Sono venuto a portare il fuoco sulla terra (2020).

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