Voce di un marito

“Se io sono quello di prima… a cosa mi è servito sposarmi?”

di Francesco Arnaldi

Esistono due tipologie di errori che le coppie possono fare, quando pensano al matrimonio. La prima, è considerarlo la soluzione a tutti i mali. La seconda, è considerarlo inutile. Grazie a mia moglie ho capito che il sacramento del matrimonio non è un rito magico, ma la porta di ingresso dell’amore di Dio.

Avete mai provato a installare un videogioco sul vostro PC, magari un videogioco che desideravate da tanto, e dopo giorni di attesa per comprarlo, più il tempo necessario per installarlo, vi accorgete che non funziona? Frustrante. La prima cosa che ci viene in mente è che qualcosa sia andato storto nell’installazione. Magari una scheda grafica non adeguata nel nostro computer, o chissà che altro. Ecco, qualcosa di simile può succedere con il matrimonio. 

Esistono due tipologie di errori che le coppie possono fare, quando pensano al matrimonio. La prima, è considerarlo la soluzione a tutti i mali. La seconda, è considerarlo inutile. La seconda è di gran lunga più diffusa, ma cominciamo dalla prima, che è più rara ma più subdola. 

Siamo persone imperfette, questo lo sappiamo, tutta la nostra storia ce lo ricorda. Ferite, traumi, errori, peccati. Poi incontriamo una persona e decidiamo di sposarci, e anche se dentro di noi sappiamo di essere ancora pieni di incrostazioni dell’anima, il nostro sguardo è proiettato sul futuro. I giovani tendono sempre a vivere con la mente nel futuro, è la loro forza e la loro debolezza. E allora ecco che carichi il matrimonio di aspettative: ti immagini che la grazia divina che ci verrà donata con il Sacramento sia una sorta di rito magico che cambierà per sempre quello che odiamo in noi stessi. Chissà, magari cambierà anche ciò che non ci piace della nostra futura moglie, il che non guasta mica. Poi ti sposi, sei felice, e dopo qualche mese (o settimana… o giorno…) ti accorgi che tu sei sempre la stessa persona di prima, che fai gli stessi identici sbagli e cadi negli stessi identici peccati, e che anche la persona accanto a te non è poi tanto diversa. 

E allora ecco che viene fuori il dubbio: avrò installato bene il “programma matrimonio” nelle nostre vite? Ha funzionato? Qualcosa si è inceppato nel passaggio della grazia sacramentale da Dio a noi? Perché in fondo io non mi sento mica così diverso. 

Quando poi, dopo i primi mesi, vedi riaffiorare sempre gli stessi sbagli, arrivi quasi a deprimerti. Eri pigro? Sei ancora pigro. Eri poco paziente verso alcuni difetti della tua fidanzata? Sei impaziente verso i difetti di tua moglie. Quello che speravi sarebbe cambiato per magia, non è cambiato affatto. Anzi, magari la convivenza ha fatto anche peggiorare alcune cose. Allora, ti chiedi: a cosa è servito?

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Io ho sempre avuto il difetto di tenermi dentro le cose, di comunicare poco. Oppure, difetto ad esso collegato, quello della poca sincerità. Mi chiudevo in me stesso e lasciavo trapelare solo una piccola parte di ciò che avevo dentro, arrivando perfino a mentire pur di non rompere la tranquillità di cristallo che mi ero costruito. Mi dicevo: “quando saremo marito e moglie comunicare per me sarà più semplice.” Macché. I miei difetti si sono implementati, costruendo nuovi muri. Ci sono volute parecchie cadute, litigate, dolorose prese di coscienza, per capire che quei difetti non sarebbero magicamente spariti. Occorreva da parte mia un cammino, nel quale mia moglie sarebbe stata aiuto e compagna, non giudice esterno come inizialmente la vedevo.

Dopo l’errore di vedere il matrimonio come bacchetta magica sui difetti, c’è l’errore opposto: il matrimonio non serve a niente. Perché dovrei sposarmi? Mi serve forse l’approvazione di qualcuno? Mi serve altro, dal di fuori, che mi dia qualcosa che già non ho? Io sto bene, lei anche, siamo felici. A cosa ci servirebbe il matrimonio? 

Entrambi questi errori portano allo stesso identico dilemma. E hanno anche la stessa matrice: radicano l’amore in sé stessi. Quando ci riteniamo fonte primaria dell’amore, ecco che allora diventiamo autoreferenziali. Noi non abbiamo bisogno di sposarci, oppure noi non stiamo facendo funzionare bene un qualcosa che avevamo caricato di aspettative e che adesso, chissà perché, non le sta ripagando.

Eppure, la soluzione è così semplice e grandiosa allo stesso tempo: capisci che devi cambiare prospettiva quando ti accorgi che l’amore non è qualcosa che viene da te. Che non ne sei tu né l’artefice né il controllore. L’amore è un dono che viene da fuori, e che noi decidiamo di incanalare verso la nostra sposa. Ma non la stiamo amando del nostro amore. La stiamo amando dell’amore di Cristo. 

San Paolo diceva, nella lettera ai Galati: “Non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me”. Parafrasando, mi verrebbe da dire: non sono io che amo, è Dio che ama attraverso di me. Ecco cos’è il sacramento del matrimonio. Lo sposo non è la fonte dell’amore per la sposa: ne è il tramite. 

Non credere che questo ti renda migliore di com’eri prima. I tuoi difetti te li porti dietro tutti, dal primo all’ultimo. Solo che, quando ti sposi, anche loro vengono investiti da questa grazia, e vengono usati da Dio per comunicare il Suo amore a tua moglie. Allo stesso modo, i difetti di mia moglie non svolgono un ruolo minore dei suoi pregi nel mostrarmi ciò che Dio vuole dirmi. Ogni cosa, nel sacramento, viene illuminata ed elevata a immagine dell’amore di Dio. Pur restando, singolarmente, gli stessi poveracci pieni di difetti e insicurezze che eravamo prima di sposarci. 
A cosa è servito sposarmi? A far parlare Dio nella mia miseria. Perché altrimenti, l’altra persona rischia di diventare un aiuto con i suoi pregi, e un ostacolo con i suoi difetti. E allora ecco che si ritorna alla logica efficientista secondo cui dobbiamo essere sempre perfetti per nostra moglie, e lei di rimando sempre perfetta per noi. Ma il matrimonio non è una società in cui due soci cercano di apportare il massimo all’azienda così da essere tutti più ricchi. Il matrimonio sono due persone che riconoscono che l’altro può essere un portale dell’amore di Dio. Anche se in cinquant’anni di matrimonio dovesse migliorare solo di un chicco nei suoi difetti.




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