Udienza del papa

Perché il Papa visita un paese islamico? Lui risponde: “La fede non si annacqua col dialogo”

Il Papa all’udienza del mercoledì: “Viene spontaneo chiedersi: perché il Papa ha voluto visitare questo piccolo Paese a grandissima maggioranza islamica? Ci sono tanti Paesi cristiani: perché non va prima da uno o dall’altro? Vorrei rispondere attraverso tre parole: dialogo, incontro e cammino”. “E perché dico che il dialogo non annacqua? Perché per dialogare bisogna avere identità propria…”.

“Prima di parlare su quello che ho preparato, vorrei attirare l’attenzione su questi due ragazzi che sono venuti qui. Loro non hanno chiesto permesso, loro non hanno detto: ‘Ah, ho paura’, sono venuti direttamente. Così noi dobbiamo essere con Dio: direttamente. Ci hanno dato esempio di come dobbiamo comportarci con Dio, con il Signore: andare avanti! Lui ci aspetta sempre”. “Così dobbiamo avvicinarci sempre al Signore: con libertà”, con queste parole, pronunciate a braccio, il papa ha iniziato la sua udienza di stamane, mercoledì 9 novembre.

Poi, ha continuato parlando del suo viaggio nel Regno del Bahrein, un luogo che, ha ammesso, non conosceva “Viene spontaneo chiedersi: – ha detto, dopo vari ringraziamenti a chi ha permesso il suo viaggio – perché il Papa ha voluto visitare questo piccolo Paese a grandissima maggioranza islamica? Ci sono tanti Paesi cristiani: perché non va prima da uno o dall’altro? Vorrei rispondere attraverso tre parole: dialogo, incontro e cammino”.

Il pontefice ha dunque cercato di esplicitare il senso delle sue parole.

Dialogo: l’occasione del Viaggio, desiderato da tempo, è stata offerta dall’invito del Re a un Forum sul dialogo tra Oriente e Occidente. Dialogo che serve a scoprire la ricchezza di chi appartiene ad altre genti, ad altre tradizioni, ad altri credo. Il Bahrein, un arcipelago formato da tante isole, ci ha aiutato a capire che non si deve vivere isolandosi, ma avvicinandosi”. 

Per il papa “il dialogo è l’ossigeno della pace”. 

E non riguarda solo i rapporti tra stati “Anche nella pace domestica. Se è stata fatta una guerra lì, fra marito e moglie, poi con il dialogo si va avanti con la pace. In famiglia, dialogare pure: dialogare, perché con il dialogo si custodisce la pace”. “In Bahrein ho avvertito questa esigenza e ho auspicato che, in tutto il mondo, i responsabili religiosi e civili sappiano guardare al di fuori dei propri confini, delle proprie comunità, per prendersi cura dell’insieme. Solo così si possono affrontare certi temi universali, per esempio la dimenticanza di Dio, la tragedia della fame, la custodia del creato, la pace. Insieme, si pensa questo”. 

Il pontefice ha allora esclamato: “Quanto bisogno abbiamo di incontrarci! Penso alla folle guerra – folle! – di cui è vittima la martoriata Ucraina, e a tanti altri conflitti, che non si risolveranno mai attraverso l’infantile logica delle armi, ma solo con la forza mite del dialogo. Ma oltre l’Ucraina, che è martoriata, pensiamo alle guerre che durano da anni, e pensiamo alla Siria – più di 10 anni! – pensiamo ad esempio alla Siria, pensiamo ai bambini dello Yemen, pensiamo al Myanmar: dappertutto! Adesso, più vicina è l’Ucraina, ma cosa fanno le guerre? Distruggono, distruggono l’umanità, distruggono tutto. I conflitti non vanno risolti attraverso la guerra”.

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La seconda parola presa in esame è stata ‘incontro’. “In Bahrein ci siamo incontrati, e più volte ho sentito emergere il desiderio che tra cristiani e musulmani gli incontri aumentino, che si stringano rapporti più saldi, che ci si prenda maggiormente a cuore. In Bahrein – come si usa in oriente – le persone si portano la mano al cuore quando salutano qualcuno. L’ho fatto anch’io, per fare spazio dentro di me a chi incontravo. Perché, senza accoglienza, il dialogo resta vuoto, apparente, rimane questione di idee e non di realtà”. 

La terza parola: cammino. “Il viaggio in Bahrein non va visto come un episodio isolato, fa parte di un percorso, inaugurato da San Giovanni Paolo II quando si recò in Marocco. Così, la prima visita di un Papa in Bahrein ha rappresentato un nuovo passo nel cammino tra credenti cristiani e musulmani: non per confonderci o annacquare la fede. No: il dialogo non annacqua; ma per costruire alleanze fraterne nel nome del padre Abramo, che fu pellegrino sulla terra sotto lo sguardo misericordioso dell’unico Dio del Cielo, Dio della pace”. “E perché dico che il dialogo non annacqua? Perché per dialogare bisogna avere identità propria, si deve partire dalla propria identità. Se tu non hai identità, tu non puoi dialogare, perché non capisci neppure tu cosa sei. Perché un dialogo sia buono, si deve sempre partire dalla propria identità, essere consci della propria identità, e così si può dialogare”.
Francesco ha concluso il suo messaggio con queste parole: “Incontrandoci e pregando insieme, ci siamo sentiti un cuore solo e un’anima sola. Pensando al loro cammino, alla loro esperienza quotidiana di dialogo, sentiamoci tutti chiamati a dilatare gli orizzonti: per favore, cuori dilatati, non cuori chiusi, duri. Aprite i cuori, perché siamo fratelli tutti e perché questa fratellanza umana vada più avanti. Dilatare gli orizzonti, aprire, allargare gli interessi e dedicarci alla conoscenza degli altri. Se tu ti dedichi alla conoscenza degli altri, mai sarai minacciato. Ma se tu hai paura degli altri, tu stesso sarai per loro una minaccia. Il cammino della fraternità e della pace, per procedere, ha bisogno di tutti e di ciascuno”.




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