23 Novembre 2022

“Carriera alias”: davvero stiamo facendo il bene dei nostri giovani?

Ancora fa parlare di sé il Liceo Cavour di Roma dove un docente ha riconsegnato il compito in classe di una ragazza trans con il nome sbarrato perché non corrispondente a quello sul documento d’identità. La studentessa aveva firmato infatti una verifica con il nome d’elezione, quello scelto per la sua nuova identità e nel quale si riconosce. È la cosiddetta carriera alias: cioè studentesse e studenti, che hanno documenti con nomi che non identificano il loro genere, possono firmarsi e farsi chiamare da compagni e docenti con un altro nome, anche se non riconosciuto ufficialmente. La diatriba si sposta in vicepresidenza, perché né la studentessa né i suoi compagni accettano quella decisione. Ma il prof prosegue: “Davanti a me ho una donna, non posso riferirmi a te diversamente”.

Che cos’è la carriera alias? È un profilo alternativo e temporaneo, riservato agli studenti, e in alcuni casi pure ai docenti e al personale, che non si riconoscono nel genere «assegnato alla nascita» – come oggi si usa dire con riferimento al sesso biologico – e che, quindi, intendono vedersi riconosciuto un altro genere: quello percepito. È una opzione riservata solo all’ambito scolastico. Per tutto ciò che riguarda la vita extrascolastica – attività sportive, associative, ludiche e di ritrovo con gli amici – si dovrà mantenere il nome scritto sui documenti.

La carriera alias ha un fondamento giuridico? Sembrerebbe di no. Le scuole che hanno introdotto questa possibilità in Italia fanno leva sul D.p.r. 275/1999, recante la disciplina in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche. Ma questa autonomia si scontra con il rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema che lo stesso D.pr. evoca all’art. 4. In nome di quest’ultima norma, infatti, il docente può rifiutarsi di adeguarsi a questa procedura in attesa di una normativa ad hoc.

Ma a parte queste considerazioni di natura giuridica, mi chiedo stiamo facendo davvero il bene dei nostri giovani introducendo la carriera alias nelle scuole? Qui parliamo di minori, di adolescenti cioè che cambiano idea ogni giorno, che stanno crescendo, che hanno bisogno di trovare la loro identità. Cosa facciamo per aiutarli? Sappiamo solo assecondare placidamente i loro capricci accompagnandoli verso la transizione? Qui in gioco non c’è l’atteggiamento discriminatorio di un adulto – in questo caso il povero prof che per paura di qualche provvedimento disciplinare il giorno successivo è stato costretto a scusarsi – ma il nostro dovere di adulti di accompagnare, sostenere, guidare i nostri giovani. Le domande per la transizione sociale o anche per quella medica crescono a dismisura ma sono tanti anche quelli che poi vorrebbero pentiti tornare indietro ma non possono.

Anna è una ragazza francese, il 3 maggio 2022 ha raccontato la sua esperienza sulle pagine del Parisien. Da adolescente faceva fatica ad accettarsi, scoprì su Internet la trans-identità e pensò di esserlo. I suoi genitori la sostennero. Dopo qualche visita medica cominciò ad assumere il testosterone – a 14 anni – e diventò Sacha. A 16 anni subì una mastectomia (ablazione dei seni). A 19 anni si è pentita così ha smesso di assumere gli ormoni, le sono tornate le mestruazioni. Oggi dice che non è stata aiutata a capire le ragioni del suo disagio e troppo “sbrigativamente” – parola da lei utilizzata – hanno tutti acconsentito alla sua scelta.

Mi sembra un buon punto di vista questo avverbio per tentare una riflessione seria. Troppo facilmente ci adoperiamo con la scusa di aiutare. In realtà ci spinge la paura di essere fuori moda o perché siamo facilmente influenzabili da una cultura che vuole a tutti i costi sdoganare il gender o – è questo è molto più inquietante – semplicemente abbiamo smesso di caricarci sulle nostre spalle la possibilità e il dovere di traghettare questi nostri giovani verso l’età adulta. Perché tutto questo costa fatica, la fatica di orientare al bene, al vero e al bello. E ci nascondiamo dietro il paravento dell’inclusione o della discriminazione. E non ci accorgiamo che stiamo servendo l’infelicità su un piatto d’argento.


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Giovanna Abbagnara

Giovanna Abbagnara, è sposata con Gerardo dal 1999 e ha un figlio, Luca. Giornalista e scrittrice, dal 2008 è direttore responsabile di Punto Famiglia, rivista di tematiche familiari. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato: Il mio Giubileo della Misericordia. (2016), Benvenuti a Casa Martin (2017), Abbiamo visto la Mamma del Cielo (2016), Il mio presepe in famiglia (2017), #Trova la perla preziosa (2018), Vivere la Prima Eucaristia in famiglia (2018), La Prima Comunione di nostro figlio (2018), Voi siete l'adesso di Dio (2019), Ai piedi del suo Amore (2020), Le avventure di Emanuele e del suo amico Gesù (2020), In vacanza con Dio (2022).

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