Bisogna dare i voti a scuola? Il difficile compito di aiutare a crescere

23 Febbraio 2023

scuola

(Foto: Monkey Business Images / Shutterstock.com)

Febbraio è inevitabilmente tempo di pagelle, con tutto il carico emotivo che già la semplice parola evoca. L’esternazione di un politico di caratura nazionale sulla difficoltà di leggere la pagella della figlia in quinta elementare, poi, rende la vicenda ancora più attuale. Con essa l’invito a ritornare ai numeri… ma è giusto oppure no?  

Forse non tutti sanno che la rilevazione degli apprendimenti alla scuola primaria, da alcuni anni avviene mediante 4 livelli: in via di prima acquisizione, base, intermedio ed avanzato. Alla base di questo cambiamento voluto dal legislatore c’è la volontà di riferirsi al processo di apprendimento e non alla persona dell’alunno. 

Questa breve storia, tuttavia, riguarda una lingua parlata da tutti ma capita da pochi. Un dialogo fatto di simboli, ma senza che questi rimandino a contenuti condivisi. Una vicenda in cui l’emittente lancia un messaggio in un codice che il destinatario non comprende. Talvolta nemmeno l’emittente, a dire il vero. Dalla cattedra osservo e prendo atto. Parlo dei voti. E volutamente non uso la parola valutazione che si pone su un altro livello, per lo più precluso alla maggioranza delle persone che girano intorno alla cattedra. 

Alla base c’è un concetto che va sempre ribadito a tutti gli attori del mondo della scuola: il voto o la valutazione, a seconda dei palati, riassume e, in qualche modo, cerca di indirizzare il processo di apprendimento e crescita di un ragazzo che è innanzitutto una persona e che per questo motivo vale non meno di infinito. 

Con i colleghi ci diciamo spesso che non è giusto dire che “il ragazzo è un cinque” anche se la tentazione è grande, per mancanza di tempo e di forze. La necessità di riassumere, mai come in questi casi, crea gravi fraintendimenti. Anche ai genitori, spesso, ricordiamo che un cinque non vuol dire che il ragazzo non valga la sufficienza. Non è una bocciatura per lui e nemmeno per loro. È un messaggio in codice che andrebbe tradotto più o meno così: “Il ragazzo ha studiato in maniera poco approfondita gli argomenti che sono stati proposti.” Nulla di più. Nessun docente al mondo si potrà mai permettere di valutare la consistenza umana di un allievo: quello che il giovane ha in testa è un universo imperscrutabile, talvolta, prima a lui e poi anche agli altri. 

Leggi anche: Puoi essere un eroe a scuola? Sì, se l’eroismo è fare bene il proprio lavoro (puntofamiglia.net)

Ora, se i docenti spesso lo dimenticano e i genitori lo ignorano, figurarsi cosa capita nella testa di un adolescente che già non si riconosce a causa della tempesta ormonale che lo scuote e, talvolta, lo rende estraneo a sé stesso! Da una parte e dall’altra della cattedra, ci ripetiamo continuamente con gli alunni che il voto, la valutazione, sono solo un messaggio in codice che non va assolutizzato. 

“Prof, lo dica ai nostri genitori!” rispondono, di solito. Temono la reazione ad un voto negativo, ovviamente! 

Allora chiedo ai miei giovani interlocutori: “Ma, guarda che non dando il meglio di te, ti stai già punendo perché ti stai privando di alcuni privilegi!”. 

Anche la presunta punizione dei genitori è, alla fine, un messaggio in codice. L’opulenza nella quale siamo immersi, anche coloro che provengono da famiglie meno abbienti, non permette, tuttavia, di comprendere il discorso preso alla lettera e nemmeno nelle sue sfumature. Resta il fatto che il vero messaggio non passa. “Ragazzi, avete uno Stato che vi vuole così bene, da pagare alcuni insegnanti per aiutarvi a crescere! Non sarebbe il caso di approfittarne al meglio?”. 

L’esperienza ricorda che pochissimi, tra alunni, genitori ed insegnanti, colgono questa sfumatura. Ci fermiamo tutti su quel simbolo che dice qualcosa che non comprendiamo. Ma, a questo punto, visto che il codice è incomprensibile, non sarebbe il caso di eliminarlo? Questo andrebbe contro il merito o lo favorirebbe? 

Forse una sperimentazione non sarebbe male. Eliminare la promozione per trasformare tutto il percorso scolastico in una grande opportunità potrebbe essere fruttuoso? Si potrebbe lasciare la valutazione al mondo del lavoro. 

In fondo è già così: le industrie e le università valutano secondo propri standard i nuovi iscritti e i neo assunti. Non si fidano più della valutazione delle scuole, per ovvi motivi. Che i tempi comincino ad essere maturi?




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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1 risposta su “Bisogna dare i voti a scuola? Il difficile compito di aiutare a crescere”

Caro professore io e tanti amici e amiche siamo cresciuto coi voti numerici. Mai nessun problema, mai polemiche, mai delusioni……Anzi molti sono laureati e con carriera di responsabilità. Altri hanno scelto di lavorare. Il voto numerico non è una punizione ma aiuta il ragazzo/ragazza a capire e lo conferma nelle sue capacità. O a migliorarle nei limiti delle sue possibilità. Io sono grato a miei professori che davano i voti e….non si sbagliavano mai.

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