LA TENEREZZA IN FAMIGLIA

Come sarebbe la vita senza tenerezza? Ecco perché non può mancare in famiglia

Santi Luigi e Zelia Martin

Nell’esperienza cristiana del matrimonio e della famiglia nell’orizzonte dell’amore, risalta una virtù importante: quella della tenerezza. Come si manifesta, concretamente? Una esemplare vita coniugale vissuta alla luce della tenerezza di Dio, la troviamo nella vita dei coniugi Luigi e Zelia Martin…

«L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per sé stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente». 

Queste parole della Redemptor hominis, prima enciclica del pontificato di Giovanni Paolo II, come la luce di un faro che fa breccia nell’oscurità della notte, ci invitano a riflettere sull’importanza di essere missionari dell’amore divino in una società sempre più ripiegata nel buio del proprio egoismo e narcisismo. 

Tante persone sono convinte che amare sé stessi sia l’unico modo per stare bene, perché ci si risparmiano le varie delusioni causate dal quotidiano confronto con gli altri. Il Signore Gesù ci ricorda che “chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà” (Lc 9,24).

Il Vangelo ci chiede di amare il prossimo con lo stesso amore con cui amiamo Dio (cf. Mt 22.37-40), solo l’amore verso il prossimo ci conforma all’immagine di Cristo che è il vero volto del Padre. L’amore e il dono di sé verso gli altri, è il segno distintivo per tutti coloro che vogliono essere discepoli di Cristo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv15,13). 

L’essere della persona per sua natura è comunionale: il rapporto con l’altra persona umana si inserisce nella dimensione originaria della donazione dell’essere e da parte di Dio, come svolgimento ed esplicitazione della pienezza della vita.

Nell’esperienza cristiana del matrimonio e della famiglia nell’orizzonte dell’amore, risalta una virtù importante, quella della tenerezza. Questa dolcissima virtù, la ritroviamo in vari brani biblici come in Es 4,22; Sal 27,10; 131,2; Is 49,15; e il profeta Osea presenta la dolcissima immagine di questo Dio che è come un padre affettuoso e premuroso verso il suo popolo: «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato […] (gli) insegnavo a camminare tenendolo per mano […]. Io lo traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,1.3-4). 

La parola tenerezza è così evocativa perché dice ciò che noi siamo: esseri di tenerezza creati ad immagine e somiglianza di Dio, infinita tenerezza. Il sentimento della tenerezza non va cercato fuori di noi, ma al di dentro del nostro essere: è un programma di relazione già inscritto in noi, che attende solo di essere scelto e promosso come progetto e stile di vita. 

L’uomo e la donna sono chiamati entrambi ad educarsi alla scuola della tenerezza, arricchendosi reciprocamente dei doni di cui sono portatori e impegnandosi a costruire insieme, in un dialogo rispettoso della differenza, un’autentica civiltà della tenerezza.

Per la coppia, cosa significa andare alla scuola della tenerezza? Significa rivolgersi quotidianamente a Dio, sorgente inesauribile di ogni tenerezza per coloro che si lasciano amare da Lui, e in Lui imparano ad amare la vita e ogni realtà del creato.

La tenerezza non si presenta come una realtà immobile o uguale a sé stessa, ma come un’avventura sempre più grande, in alto, verso l’assoluto, verso Dio, l’infinita tenerezza. Solo in Lui, l’uomo e la donna sono in grado di far emergere la parte migliore di sé stessi, il desiderio innato di amare ed essere amati. La tenerezza di Dio rappresenta il cuore e la linfa vitale della relazione nuziale. È nella ricerca di questo cuore che gli sposi sono resi capaci di auto-trascendersi e attingere al senso più alto della loro felicità coniugale. Soltanto lasciandosi plasmare dalla Divina Tenerezza gli sposi attuano il significato profondo della loro vocazione, il “mistero grande” di cui sono portatori, e lo testimoniano nel mondo.   

Una esemplare vita coniugale vissuta alla luce della tenerezza di Dio, la troviamo nella vita dei coniugi Luigi e Zelia Martin

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Essi si incontrarono presso il ponte Saint Leonard ad Alençon (Francia) e da allora non si separarono più. 

Subito capirono che il loro progetto di vita andava vissuto assieme, ma non immaginavano che avrebbero dovuto quasi “convertirsi” per capire appieno il senso del matrimonio. Dopo essersi sposati alla mezzanotte del 13 luglio del 1858, decisero di vivere come due consacrati, proprio perché entrambi, prima di incontrarsi, pensavano alla vita da religiosi. Poi grazie a una guida spirituale capirono il grande valore della chiamata alla generazione della vita. Creano un ambiente familiare di grande laboriosità e di forte sensibilità di fede. Ebbero nove figli, anche se solo cinque femmine arrivarono all’età adulta diventando tutte religiose. La più nota di loro è certamente suor Teresa di Gesù Bambino canonizzata nel 1925.

Luigi era un orologiaio e Zelia realizzava merletti. Nonostante la loro situazione economica fosse confortevole, in casa Martin lo stile di vita era all’insegna dell’essenzialità, della semplicità, ma anche della dolcezza, della delicatezza e della tenerezza. Virtù che la figlia Teresa raccontò di riconoscere molto bene nel padre. Lei riteneva i suoi genitori “degni più del cielo che della terra”. 

La partecipazione alla vita della parrocchia, ai sacramenti e l’impegno verso gli ultimi erano la “corona” di una quotidianità vissuta nella condivisione di gioie e dolori ma anche nell’entusiasmo di veder crescere il nucleo domestico. 

Per Zelia non vi era impegno più affascinante ed entusiasmante dello stare accanto ai propri figli e la morte di alcuni di loro era stata accolta con serenità pur nella sofferenza. 

Zelia morì a 45 anni per un cancro al seno, Luigi 17 anni dopo, consumato dalla sclerosi, ma sempre fedele al progetto che aveva condiviso fin dall’inizio con la moglie.Il messaggio trasmesso dalla loro vita è chiaro: essere genitori è una vocazione che va coltivata giorno dopo giorno, fatta crescere, custodita e sostenuta spiritualmente. Solo una vita matrimoniale vissuta nel Signore è capace di dare la giusta forza nell’affrontare e superare le difficoltà della vita, soprattutto permette di dare qualità alle relazioni familiari permettendo di vivere la vocazione all’amore che ci rende immagine e somiglianza di Dio.




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Loris Sbarra

Don Loris Sbarra è responsabile dell’Ufficio Famiglia e Vita della Diocesi San Marco Argentano-Scalea (Cs) Dottorando in Teologia della Famiglia presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia. Parroco della Parrocchia San Marco Evangelista in Cetraro M.na (CS).

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