Il Vangelo letto in famiglia

III DOMENICA DI QUARESIMA – Anno A – 12 MARZO 2023

Il pozzo, il luogo dell’amore

Il pozzo era un po’ come Facebook di oggi, un luogo dove avvenivano incontri, l’unico luogo dove maschi e femmine si incontravano, pur non potendo parlare tra loro. Era il luogo dove si sceglievano le mogli da comprare, si organizzavano i matrimoni. Ed è proprio al pozzo che Gesù desidera combinare il matrimonio con l’umanità decaduta: la samaritana, infatti, è il segno dell’umanità lontana che non ha più speranza, dell’umanità peccatrice, di me e di te che spesso ci siamo allontananti da Dio, dalla retta via, dall’“ortodossia”, cioè dal giusto modo di amare Dio.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 4,5-15.19b-26.39a.40-42)
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». Molti Samaritani di quella città credettero in lui. E quando giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

IL COMMENTO

di don Gianluca Coppola

La pagina del Vangelo presentata questa domenica è una pagina impegnativa, anzi sarebbe più corretto dire che è una pagina che ci impegna. “Impegnativo” può essere sinonimo di “difficile comprensione”, ma questa pagina non è di difficile comprensione eppure ci impegna, perché ciò che Gesù vuole dirci non può lasciarci indifferenti. Nonostante la pericope proposta nella sua interezza sia molto lunga, ci soffermeremo soltanto sull’episodio della samaritana.

Il tema principale della terza domenica di Quaresima riguarda l’acqua e la sete. Esso ci viene presentato già a partire dalla Prima Lettura: il popolo di Israele era nel deserto e «soffriva la sete per mancanza di acqua». Il deserto è il luogo dove si subisce l’aridità, la siccità, è il luogo dove l’uomo può morire disidratato in poco tempo. La disidratazione, infatti, può facilmente provocare la morte. Siamo fatti per la maggior parte di acqua, e questo basta a comprendere che l’acqua è qualcosa di vitale, anche se, in molti contesti del mondo contemporaneo, viene considerato un bene quasi superfluo perché ne abbiamo in abbondanza, ma in realtà si tratta di un bene preziosissimo.

Nel Vangelo, però, Gesù parla di un’altra acqua, un’acqua che è ancora più preziosa di quella del rubinetto. Al giorno d’oggi, è difficile comprendere il paragone profondo tra l’acqua e l’acqua di Dio. Infatti, mentre per noi l’acqua è sempre a portata di mano e facile da trovare, ai tempi di Gesù era difficilissima da reperire e spesso erano proprio le donne a occuparsi di questa impresa, costrette nella maggior parte dei casi a fare lunghissimi tragitti a piedi per arrivare al pozzo con anfore pesantissime sulla testa.

La donna presente in questo Vangelo è alla ricerca di un bene prezioso, ma qual è, esattamente, questo bene prezioso? Qual era la vera sete di questa donna, cosa la spingeva ad andare al pozzo per dissetarsi? E soprattutto, qual è la nostra sete oggi? La domanda è ancora più pertinente in quest’epoca, proprio perché non abbiamo sete d’acqua, eppure sentiamo l’esigenza profonda di un’altra acqua, di un’acqua che disseti il nostro cuore, la nostra anima, un’acqua che ci conduca alla felicità. Anche questa donna aveva sete di felicità e probabilmente non lo sapeva. Prima di addentrarci ulteriormente in questo Vangelo, soffermiamoci per un attimo su alcuni dettagli importanti. Abbiamo di fronte una donna samaritana. Queste due parole, per noi, possono risultare quasi insignificanti, ma per quell’epoca e per il popolo da cui proveniva Gesù erano due dettagli non facilmente trascurabili. Innanzitutto, non si poteva rivolgere la parola a una donna senza una motivazione, doveva sempre esserci un motivo plausibile: o si aveva intenzione di iniziare un progetto di fidanzamento e dunque bisognava chiedere il permesso al padre, oppure si innescavano discorsi di tipo lavorativo, perché, al contrario di quanto possiamo pensare, erano le donne, in quel tempo, a svolgere i lavori più faticosi dal punto di vista fisico. Pertanto, rivolgere la parola a una donna a cuor leggero era vietato. Come se non bastasse, questa donna era samaritana, e il Vangelo stesso riporta che tra i giudei e i samaritani non correva buon sangue, a causa di una profonda spaccatura sociale. I samaritani erano coloro che, secondo i giudei, avevano tradito la legge di Dio, perché avevano cominciato ad adorarlo al di fuori di Gerusalemme, il che era un peccato gravissimo; per gli ebrei, Dio stava solo a Gerusalemme, e tutti coloro che adoravano al di fuori di quella città erano eretici, infedeli, e in quanto tale dovevano morire, essere sterminati.

Per queste motivazioni, dunque, è ancora più significativo il fatto che Gesù rivolga la parola a una donna samaritana. Sappiamo bene che Gesù non ha timore di fare parecchie cose vietate dalla legge di quel tempo, perché non gli interessa fare bella figura con la gente, Lui è venuto per salvare la gente. Gesù, dunque, si reca al pozzo e comincia a parlare con questa donna, dando vita a un dialogo stupendo. Il luogo che fa da sfondo alle loro parole è altrettanto importante. Che cosa siQuesriIl l andava a fare al pozzo? Il pozzo era un po’ come Facebook di oggi, un luogo dove avvenivano incontri, l’unico luogo dove maschi e femmine si incontravano, pur non potendo parlare tra loro. Era il luogo dove si sceglievano le mogli da comprare, si organizzavano i matrimoni. Ed è proprio al pozzo che Gesù desidera combinare il matrimonio con l’umanità decaduta: la samaritana, infatti, è il segno dell’umanità lontana che non ha più speranza, dell’umanità peccatrice, di me e di te che spesso ci siamo allontananti da Dio, dalla retta via, dall’“ortodossia”, cioè dal giusto modo di amare Dio.

In un momento fondamentale del dialogo, Gesù dice alla donna di andare a chiamare suo marito, ma lei risponde di non averne uno. Gesù lo sapeva già e infatti le risponde: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti, hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Racchiuso in queste parole c’è tutto il dolore della donna, una donna ferita nell’amore, nelle relazioni. Non riusciva a vivere relazioni stabili perché non si sentiva davvero amata. Infatti, si recava al pozzo a mezzogiorno, il che significa che si vergognava. A quelle latitudini, non ci si reca al pozzo a quell’ora a causa del troppo caldo, significava autodistruggersi. Ma lei lo fa proprio per nascondersi, per non incontrare nessuno, perché si vergognava di essere una peccatrice. Era una donna che entrava e usciva dalle relazioni, cercava l’amore disperatamente, eppure non riusciva a trovare l’amore vero, perché non aveva ancora incontrato Gesù. Quanti giovani vivono un dramma simile, quanti giovani pensano di poter entrare e uscire dalle relazioni senza che questo provochi danni al loro cuore. Ormai consumiamo tutto, perfino le relazioni, ma troppo spesso dimentichiamo che, ogni volta che entriamo in una relazione, lasciamo all’altra persona un pezzo di noi. E vedete, se questo procedimento si ripete una, due, tre, dieci volte, allora significa che il nostro cuore sarà devastato, proprio come quello di questa donna. Questo è il motivo per cui è fondamentale comprendere se una relazione ci fa bene o no, se è volontà di Dio oppure no.

Gesù allora si reca al pozzo proprio per far prendere coscienza a questa donna della sua ferita più profonda, per farle capire che aveva bisogno di un amore più grande, capace di soddisfare la sua sete e questo amore, dice Gesù, «sono io, che parlo con te».

Noi siamo più avvantaggiati: il nostro pozzo di Sicar è il fonte battesimale, l’acqua della vita eterna è l’acqua del battesimo; siamo già stati salvati da bambini, ma ora ci tocca entrare in relazione con Dio, proprio come succede alla samaritana. Questa donna, infatti, ritorna al suo paese e dice a tutti di aver incontrato il Messia: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Molti Samaritani allora si recano nel luogo indicato e non credono più soltanto per le parole della donna, ma perché loro stessi ne fanno esperienza in prima persona. Il Vangelo, infatti, afferma: «Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”». Ecco, dunque, quello che tocca fare a noi: anche questa domenica ci è stato annunciato il Vangelo, non tramite la donna samaritana, ma attraverso un sacerdote. Anche noi, allora, dovremmo affermare di credere, non tanto per le parole del prete, ma perché abbiamo incontrato Dio. A seguito di questo incontro, torniamo a casa pieni di gioia e cominciamo ad annunciare anche noi che c’è una speranza, un’acqua viva che Dio vuole darci e che è la nostra unica possibilità di sentirci amati. Non solo, ma questa donna era una peccatrice; eppure, viene scelta da Gesù per evangelizzare la sua città. Non mi stancherò mai di ripeterlo: l’opera di Dio è meravigliosa, perché ha scelto gli ultimi e li ha resi primi. Allora noi, che siamo indegni e spesso ci sentiamo troppo peccatori per compiere l’opera di Dio, non dovremmo mai dimenticare che Dio ha scelto una peccatrice e l’ha trasformata in un’evangelizzatrice. Chiediamo dunque a Dio di fare davvero esperienza di quest’acqua viva e di avere il coraggio e il desiderio di gridarlo ai nostri fratelli.




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Gianluca Coppola

Gianluca Coppola (1982) è presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato Dalla sopravvivenza alla vita. Lettere di un prete ai giovani sulle domande essenziali (2019) e Sono venuto a portare il fuoco sulla terra (2020).

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