Cosa tiene lontani i giovani dalla Chiesa? La testimonianza di Emanuela

Chiesa

di Emanuela Molaschi

Si parla molto di capire perché le persone (in particolare i giovani) non frequentano la Chiesa; non sempre, però, mentre discutiamo su cosa fare per “riavvicinarli” ci viene in mente di chiedere direttamente a loro cosa li tenga lontano. Oggi Emanuela Molaschi, giovane trentenne di Lodi, cristiana, condivide con noi ciò che ha vissuto lei e ciò che ha capito ascoltando le confidenze degli amici.

Sono Emanuela, ho trent’anni, e questa riflessione nasce dalla richiesta di un’amica, che sta svolgendo una ricerca per l’università sul tema del rapporto tra giovani e fede. Mi ha detto: “Sto raccogliendo spunti, domande, feedback sui motivi per cui una persona, in particolare un giovane, lasci la Chiesa… Qual è la tua esperienza? Cosa hai visto succedere tra i tuoi amici?”.

Ecco, io penso che un giovane che vagamente abbia un’idea di cosa sia la Chiesa a livello parrocchiale, possa essere in difficoltà a causa di alcuni membri che compongono la comunità. Non sempre le persone “più attive” nelle realtà ecclesiali si comportano come ci si aspetta da “un buon cristiano”. Questo non ferma, di certo, chi conosce in profondità la vita della Chiesa, ma uno che ha poca esperienza potrebbe pensare, invece, che certi ambienti siano intrisi di falsità o che ci sia poca disponibilità, e quindi staccarsi dalla comunità. Alcuni episodi, alcune situazioni, possono deludere una persona al punto che si rifiuti, poi, anche di cercare un’altra realtà ecclesiale e così, purtroppo, si perderà la possibilità di vivere esperienze migliori.

Altre volte può essere che il messaggio cristiano non arrivi perché non viene presentato nel modo giusto. Molti non vogliono soffrire, ma capita che passi l’idea che per essere un buon cristiano sia necessario fare rinunce e soffrire, quasi che il cristianesimo sia solo “privazione”. I giovani non hanno voglia di privazioni, ma se qualcuno spiega bene questo lato del messaggio e che la sofferenza non va intesa come masochismo, potrebbero cambiare idea.

A volte è solo una questione di parole “più adatte”. Io, lo ammetto, sono una persona che pensa di conoscere grossomodo la Chiesa, ma ci sono giovani che non lo sanno. E perché non lo sanno? Ho visto che molte difficoltà nascono anche dall’educazione che hanno ricevuto, che ha tolto proprio l’idea di comunità dalla vita.

A volte, poi, c’è un allontanamento precoce a causa di dolori, di perdite, che fanno andare in crisi di fede. Qui servirebbe più conforto da parte della comunità verso i giovani e la famiglia, per cercare di far superare il lutto e, magari, coinvolgere loro nelle attività della parrocchia.

Leggi anche: Giovani lontani dalla fede, Chiesa destinata a morire? Parla don Alberto Ravagnani (puntofamiglia.net)

Può succedere, infatti, che si veda distanza tra la persona che viene a chiedere il funerale e il sacerdote che celebra: questo non fa che ingigantire l’idea che la Chiesa “svolga solo un servizio”, una “funzione”, più che camminare accanto ai fedeli da Madre.

C’è poi da dire che talvolta chi guida la comunità può essere troppo duro e non capisca i tempi di chi chiede aiuto. Ad esempio, se uno si sfoga perché bullizzato, è normale che, inizialmente, non sia in grado di perdonare, di capire chi gli ha fatto il torto e di uscire dalla propria rabbia. A volte si liquida chi soffre con un “devi perdonare”, senza farsi carico del dolore e accompagnare verso la rinascita e il perdono.

Compito della Chiesa non è mettere pesi sulle spalle, ma liberare, alleggerire la persona che soffre. Si dovrebbe cercare di curare le ferite, cercando di stare dietro al suo dolore. Evitando giudizi o di dare regole preconfezionate.
Una volta fatto, allora si potrà cercare di far capire le ragioni o le sofferenze dell’altra parte, di chi ha ferito. Se uno arriva da un sacerdote già scosso, chiede aiuto e si sente incolpare (dopo che è già stato maltrattato da qualcun altro), non tornerà volentieri.
Bisogna capire lo sconforto della persona che è prima di tutto umana, intendo dire che è fragile.

Ad esempio, pensando al mio passato, sono certa che col tempo, come è successo a me, si possa comprendere perché dei bulli ti hanno fatto del male, ma nel momento in cui il male è ancora fresco, è bene prima consolare e ascoltare per capire il punto di vista di chi sta confidando il suo problema. Solo così si potrà poi arrivare a spiegare che c’è un modo per comprendere e perdonare la persona. Purtroppo, però, non sempre questo è immediato, ci vuole un po’ di tempo. Se il perdono non è immediato perché si subiscono torture quotidiane, è bene portare pazienza con la vittima e accompagnarla, potenziando il suo lato gentile, che non ricorre a vendette e cerca di dimenticare, seppur con fatica.
È un ottimo passo complimentarsi per non aver ceduto all’ira. Tutto questo parlando del Vangelo e della morale cristiana.

Spesso mi pare che nelle comunità si parli e di pretenda quasi un “perdono immediato” che, per me, è falso, perché il dolore va elaborato, la rabbia deve passare, allora è possibile ragionare e perdonare davvero. Credo che la questione del perdono sia molto importante. È capitato a me, ma anche a tanti altri di sentirsi liquidare con “Bisogna perdonare tutti” ecc. L’obiettivo è quello, ma la strada è lunga. Abbiamo bisogno di uomini e donne di Dio che ci sappiano accompagnare in questo cammino!




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1 risposta su “Cosa tiene lontani i giovani dalla Chiesa? La testimonianza di Emanuela”

E’ vero, grazie. Quest’articolo dovrebbe essere letto dagli sposi perché quando in casa c’è un clima di pace, di sorrisi fra i genitori, di semplicità accettando quel che viene, di dedizione…… allora la Chiesa non fa più paura e non suscita sospetti. Poi arriverà il tempo del dolore e allora la Chiesa potrà essere il vero sollievo.

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